martedì 20 marzo 2018

La storia dell'amore di Radu Mihaileanu (2016)


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 Ho voluto vedere questo film perché ricordavo con una certa soddisfazione due film precedenti di Radu Mihaileanu nei quali il regista racconta con mano davvero felice le storie di due scombinate comitive di ebrei che, attraverso rocambolesche avventure, trovano il modo di portarsi in salvo dalle persecuzioni naziste (in Train de Vie) o di raggirare la condanna alla emarginazione di Ceausescu (ne Il concerto).
Qui la storia è diversa e la trama è molto – molto – più complessa: talmente intricata da suscitare alcune perplessità negli amici che con me hanno visto il film. All’uscita, infatti, ci siamo intrattenuti a parlarne, più per tentare di ricostruire e dipanare la trama che per scambiarci altre impressioni.

La storia dell’amore prende l’avvio da una relazione – interrotta – fra Leo e Alma, due ragazzi che vivono nella Polonia occupata e sono costretti a separarsi per salvarsi dai nazisti: Alma fugge in America, Leo resta a combattere i nazisti.
Dopo cinquant’anni Leo parte alla ricerca della sua Alma alla quale ha giurato amore eterno.
A complicare le cose, la vicenda si svolge in luoghi e tempi diversi (in Polonia durante la guerra e a New York mezzo secolo dopo), con personaggi dispersi, invecchiati o scomparsi (fra i quali uno, defunto, è recuperato come amico immaginario); e poi ci sono relazioni parentali intricate o non spiegate; omonimie che inducono a ipotizzare discendenze familiari e legami inesistenti; pagine di manoscritti che attraversano l’oceano portate nel bagaglio di Alma che fugge o spedite a un amico rifugiato nell’America latina e poi rubate; quotidiane lettere d’amore che cessano di arrivare; vicissitudini editoriali. Non manca, in parallelo, la storia di un’adolescente sognatrice che vive un suo nascente sogno d’amore e incrocia il declinante ma inestinto sogno di Leo.
Il film appare un po’ dispersivo, anche se presenta passaggi di grande intensità e non manca di quegli spunti ironici tipici del cinema di Mihaileanu (e caratteristici della cultura yddish in generale).
Due cose fanno sì che questo film mi rimanga in un anfratto del cervello e del cuore: la cieca fiducia che viene proclamata nell’inestinguibilità dell’amore che con la sua energia si salva dalle distruzioni e varca gli oceani (amore a cui hanno bisogno di credere tutti, sia quelli appagati dall’amore, sia – a maggior ragione – quelli che dell’amore sono stati defraudati); la incondizionata importanza che viene assegnata alla scrittura, sia epistolare che autobiografica, che aiuta la comprensione dei sentimenti, esprime e comunica la passione, accompagna attraverso le vicissitudini della vita e – come la poesia – non salva la vita, ma aiuta a comprenderla meglio.
    



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