mercoledì 21 luglio 2010

Il tempo che ci rimane - di Elia Suleiman ( 2009)

C’è una breve scena emblematica che sintetizza il senso di questo film sulle condizioni dei Palestinesi che vivono nello stato di Israele: un ragazzo arabo è davanti alla sua casa e sta parlando al cellulare; la strade è deserta ed assolata; un carro armato è parcheggiato pochi metri più in là col cannoncino ad alzo zero puntato su di lui. Il ragazzo parla e gesticola, fa qualche passo, attraversa la strada, si abbassa a raccogliere qualcosa da terra, torna indietro verso il cancelletto del suo giardino, si ferma, prosegue, indugia. Il lungo cannone del carro armato si muove seguendo i suoi movimenti, sempre puntato su di lui e lo segue passo dopo passo, con lo stridore degli ingranaggi della torretta. Lui non sembra accorgersi del mastodonte che pare una minacciosa macchina vuota che si muove calamitata dalla sua testa: solo dopo aver varcato il cancelletto di casa lancia un’occhiata verso il carro, da sopra il muretto o la siepe, come se si fosse accorto solo in quel momento di quell’ingombrante assurda presenza.

Elia Suleiman , unico in questo, sceglie l’ironia - amara, staccata, surreale - per rappresentare l’assurda condizione del suo popolo prigioniero in casa, dei suoi concittadini esuli in patria.
Questo autoritratto desolato e ironico, acre e fatalista (ed anche un po’ arruffato), questo sarcasmo distaccato e dolente (che talvolta scivola un po’ in caricature compiaciute) aiutano il regista a ricostruire quasi un secolo di storia senza cedere alla disperazione e convincono certamente più di ogni propaganda ammalata di retorica, più di ogni corteo, di ogni slogan, di ogni kefia che si incrocia sul corso.
Viene voglia, per un attimo, di sperare che questa ironia (“una risata vi seppellirà …”) riesca dove hanno fallito l’Intifada, le guerre, il terrorismo, le pressioni internazionali, le alleanze panarabiche, le risoluzioni dell’ONU, …

giovedì 15 luglio 2010

La speranza

La speranza è buona come prima colazione, ma è una pessima cena.
Francis Bacon

martedì 13 luglio 2010

Il poeta è un fingitore

I poeti che strane creature.
Ogni volta che parlano è una truffa.
(De Gregori - De André, Le storie di ieri)

AUTOPSICOGRAFIA
(Fernando Pessoa, Presença, n. 2, Coimbra, Nov. 1932
in Il mondo che non vedo, BUR, Milano, 2009, pag. 666
Traduzione di Omero Sala)

Il poeta è un grande fingitore.
E quando finge par così sincero
che arriva a simular come dolore
il dolore che sente per davvero.

E coloro che leggon la poesia,
nel dolore da lui rappresentato,
non colgon quello vero o la bugia,
ma altro che non hanno mai provato.

E così se ne va senza destino
trainando sui binari la ragione,
questo piccolo inutile trenino
che ci ostiniamo a definire cuore.

venerdì 9 luglio 2010

Dove stare

Una vecchia bambina, su una panchina del parco, mi ha raccontato un giorno che era stata in un paese dove tutto quello che si desiderava succedeva davvero.
Volevi una torta: ecco la torta. Volevi un vestito nuovo: ecco il vestito nuovo. Volevi un gioco, i riccioli biondi, il papà bello e importante, la mamma più buona: ecco fatto.
Volevi il cielo sereno, la pioggia con l'arcobaleno, la neve soffice e non troppo fredda: ecco il sole, l'arcobaleno, la neve per fare pupazzi.
Ma chissà perchè - mi diceva la vecchia bambina - quelli che capitavano da quelle parti si fermavano poco.
Arrivavano, esprimevano due o tre desideri, poi ancora due o tre, si sfogavano a sfornare desideri per qualche giorno, poi si guardavano in giro e desideravano essere da un'altra parte.
Ed ecco, si trovavano da un'altra parte, ovunque, dove i desideri restano desideri.

giovedì 1 luglio 2010

Tracce

A circa trecento o quattrocento metri dalla piramide, mi chinai, presi un pugno di sabbia, lo lasciai cadere silenziosamente un po’ più lontano e dissi a bassa voce:
Sto modificando il Sahara.

(J. L. Borges, Atlante)