martedì 27 aprile 2010

Notte

Vi passò tutta la notte, trascorsa in un dormiveglia interrotto ogni tanto dai morsi della fame, dai crucci e da vaghe speranze.
(Franz Kafka, La metamorfosi)

Stanza

Dietro la porta chiusa c’era una stanza disabitata da molto tempo.
(F. Dostoevskij, Delitto e castigo)

giovedì 15 aprile 2010

I migliori anni della nostra vita (di Ernesto Ferrero)

Curioso, intenso, straordinario attestato di amore per i libri, da gustare, pagina dopo pagina. Lo si legge con avidità. E resta la voglia di rileggerlo, di sfogliarlo o di aprire le pagine a caso per cercare o riscoprire quei folgoranti "ritratti" di famiglia che ci restituiscono l'efficacissimo profilo di Giulio Einaudi e le autentiche, genuine, vivissime istantanee dei "suoi" scrittori.
Leggendo questo libro conosciamo da vicino il riservato e reticente Calvino, l'occhialuto e scontroso Pavese (un cardo selvatico), il solare Vittorini (un dolce di pasta alle mandorle); il lunatico e immaginifico Manganelli (ghiottone vorace, tapiro baffuto, obeso e malinconico); il timido, cerimonioso, golosissimo Gadda (anche lui come Manganelli, definito tapiro malinconico); il pignolo e lucidissimo Sciascia, il nervoso e ossuto Pasolini; la Morante, col suo amore per i gatti e il suo pittoresco abbigliamento da zingara; Bobbio, il guru dubbioso; i Ginsburg (Leone e la solida e minuta Natalia); i Levi (Carlo ed il malinconico Primo); l'allampanato e misterioso Ceronetti; la indomabile, battagliera, cattiva Lalla Romano (cardo selvatico); il sottotenente Revelli (dormiva come se avesse ancora il mitra sotto il cuscino) e il "sergentmagiù" Rigoni Stern; l'erudito Lucentini e il disincantato Fruttero; e ancora il maestro Lodi e l'avvocato Paolo Volponi, Laiolo e Contini, Fortini e Magris e mille altri.
Dobbiamo essere grati a Ferrero per la sua testimonianza e per la imperdibile galleria di ritratti che ci offre.
Un'appetitosa strenna, un prezioso regalo. Una deliziosa goduria.

martedì 13 aprile 2010

"In Italia c’è un momento stregato in cui si passa dalla categoria di 'brillante promessa' a quella di 'solito stronzo'. Solo a pochi fortunati l’età concede poi di accedere alla dignità di 'venerato maestro'". (Alberto Arbasino)

martedì 6 aprile 2010

La scrittura

La letteratura nasce dalla difficoltà di scrivere, non dalla facilità.
... Scava in quel punto, lavoraci, rosicchia il tuo osso con pazienza.
(Italo Calvino)

domenica 4 aprile 2010

Borges e Calvino

Nella primavera del 1984 Calvino è a Siviglia con la moglie Chichita, argentina di nascita. In un albergo della città Jorges Louis Borges, cieco da tempo, incontra alcuni amici. Arrivano anche i Calvino. Mentre Chichita conversa amabilmente con il connazionale, Italo si tiene come al solito in disparte, tanto che lei ritiene opportuno avvertire:
"Borges, c'è anche Italo ...".
Appoggiato al bastone, Borges solleva in alto il mento, dice quietamente:
"L'ho riconosciuto dal silenzio".
(Ernesto Ferrero, I migliori anni della nostra vita).

Lourdes di Jessica Hausner (2009)

Si può dire, di un film, che è neutro e - nello stesso tempo - potente?
Lourdes lo è: quasi amorfo nei toni, potente nella sostanza. Lineare nella narrazione (che scivola lungo la banale progressione cronologica), intenso nella tensione (che - sequenza dopo sequenza - lo accompagna dall’inizio alla fine). Una tensione sempre sul punto di esplodere ma trattenuta, non marcata, non sottolineata dagli espedienti che tutti i registi conoscono, non enfatizzata da colpi di scena; al punto che molti spettatori non la percepiscono (diseducati a leggere le sfumature) e giudicano il film lento e noioso (e c’è anche chi si appisola durante la proiezione).
La regista Jessica Hausner dimostra un equilibrio raro ed una onestà intellettuale inconsueta. Non si compiace, non stigmatizza, non giudica, non condanna, non si lascia tentare dal didatticismo, non lancia proclami. Pone, pacatamente, dei problemi, senza enunciarli, solo raccontando. Si colloca in atteggiamento di ascolto, sensibile alla fragilità di chi crede e attenta ai dubbi di chi non crede. Descrive con uguale compassione i corpi disabili e le menti disorientate. Ha pietà per le solitudini. Segue gli accadimenti con un atteggiamento quasi indolente e con la macchina quasi immobile, ma non perde nemmeno un gesto (anche se a prima vista involontario), una parola (anche se trattenuta), uno sguardo (anche se apparentemente distratto).
Questi toni amorfi e questa reticenza sono il valore aggiunto del film: è bello trovare una regista che non mostra ma indica, e che non costringe a guardare ma insegna a vedere.