giovedì 21 gennaio 2010

L'amore è più freddo della morte di Fassbinder (1969)

La trama è imprecisa e incoerente, lo sviluppo degli eventi è confuso e sconnesso, il tratteggio dei personaggi è abbozzato ed approssimativo, alcuni passaggi appaiono incomprensibili, la recitazione è grezza ed innaturale, le espressioni sono fisse e atone, la gestualità sembra più teatrale (nel senso pessimo del termine) che cinematografica, il colore è scialbo (con sfocature e sovraesposizioni), la tecnica di ripresa è dilettantesca (con movimenti di macchina traballanti e disorientanti).
Ma a Fassbinder non interessa né la coerenza narrativa né la cura formale. Vuole solo ricreare con la massima efficacia possibile il senso di vuoto e di inutilità, la disperazione, la passività, l’ansia, l’indifferenza, l’angoscia, l’incomunicabilità, il senso di oppressione, il pessimismo, l’estraneità, il disorientamento.
E l’apparente dilettantismo serve proprio a questo. La trama pasticciata aumenta lo smarrimento, la recitazione inespressiva determina una sensazione di sgradevolezza, la sovresposizione è agghiacciante, le inquadrature e i movimenti di macchina disorientano.
Il film è pervaso dal gelo: tutto, non solo l’amore, è più freddo della morte.
L’attore Fassbinder compie gesti di morte e abbozza gesti d’amore con la stessa amara indifferenza. Il regista Fassbinder con la stessa amara indifferenza costruisce il suo film.

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