venerdì 22 gennaio 2010

1960-1963: MICROCOSMI (4) – La giornata di uno scrutatore

La mia giornata era scandita da una routine monotona: sveglia alle sei e mezzo, corriera, giretto in città in attesa delle otto, lezioni, ritorno a casa, pranzo, mezz’oretta al bar, studio in camera, cena, un’oretta al bar, notte.
La scuola e lo studio occupavano gran parte della giornata, ma non erano le occupazioni più importanti. Erano semplicemente le cose che dovevano essere fatte; erano il compito da espletare sistematicamente, giorno per giorno, con l’impegno al quale ero stato addestrato, con il senso etico che mi era stato inculcato.
Più importanti per me erano invece le attività che potevo liberamente fare nei momenti marginali, nei ritagli di tempo, nelle ore che accantonavo per me dopo il dovere. Attività che realizzavano in pieno il sogno di evasione, che rispondevano alla mia esplosa voglia di fuga e allontanamento e si concretizzavano sostanzialmente in due azioni estremamente e felicemente dispersive: il girovagare senza meta e il leggere disordinatamente.
Il girovagare ed il leggere erano il contrappeso ed il compenso alla costrizione fisica e alla coercizione psicologica della vita di studente. Andando a zonzo liberavo il corpo; leggendo alla rinfusa tutti i libri che attiravano anche per un solo istante la mia curiosità liberavo la mente.
Le mie giornate erano fin troppo, prima di allora, regolate da orari e campanelle, scandite da ritmi sempre uguali, disciplinate da ordini, totalmente occupate da obblighi e doveri; per troppo tempo la mia vita era stata regolamentata e standardizzata, uniformata a quella di chi mi circondava.
Per troppo tempo i libri a mia disposizione erano stati selezionati e limitati, la mia fantasia era stata incanalata, la mia immaginazione era stata nutrita da miscele preconfezionate e la mia testa era stata imbottita da una combinazione di dottrine esemplari e nobili ideali, concetti dogmatici e modelli edificanti, pensieri santi e archetipi di perfezione.
Avevo vissuto in un bacino artificiale senza sbocchi e senza correnti, incanalato, normalizzato, arginato.
Ora, ed era l’età giusta, potevo uscire senza chiedere permessi, andare a zonzo senza limitazioni, improvvisare tragitti senza una destinazione definita; potevo percorrere strade, attraversare piazze, tornare sui miei passi, svoltare agli incroci, perlustrare isolati, entrare nei portoni aperti ed ispezionare cortili, sedermi sotto tutti gli alberi, bere a tutte le fontane.
Potevo andare in biblioteca, esplorare i cataloghi per autori o per titoli di opere o per argomenti e lasciarmi attrarre da un nome, consultare decine di opere, prendere in visione dei libri solo per sbirciarli e restituirli, prendere in prestito tre volumi per volta, portarmeli a casa, leggerne alcune pagine sparse alla ricerca di non so che o divorarli dalla prima all’ultima pagina.
Potevo con pochi soldi acquistare i piccoli libretti della BUR o permettermi l’acquisto dei primi Oscar Mondatori a 350 lire, dei primi tascabili Bompiani, dei primi Feltrinelli.
Potevo prendere un autobus, arrivare al capolinea, gironzolare a vuoto fra gli ultimi palazzi della periferia, percorrendo la linea di demarcazione fra il cemento ed il verde, esplorando gli orti che ancora resistevano all’avanzata delle scavatrici.
Potevo andare a rovistare sulle bancarelle dei libri usati e, in mezzo a cascami dell’editoria e a carrettate di squallide pubblicazioni, scovare a poche lire dei testi curiosi, romanzi introvabili, prime edizioni di libri famosi. Il libraio mi lasciava svuotare gli scatoloni pieni di libri. (Li recuperava – mo disse – sgombrando cantine e solai o acquistando intere biblioteche da vedove illetterate di professionisti, da avvocati in disarmo o da professori in pensione, da discendenti lontani di casate nobili in via di estinzione, da nipoti analfabeti di vecchi parroci, da irriconoscenti eredi di stimati studiosi,...).
Nei miei giri di esplorazione scoprivo palazzi grandiosi affacciati su vicoli lerci e trasformati in alveari con microabitazioni ricavate da saloni affrescati; scale nobili ingombre di masserizie, giardini barocchi occupati da casotti utilizzati come garage o come depositi di materiale edile, osterie incassate sotto il livello stradale con volte sostenute da colonne scanalate, affreschi trecenteschi martellati e male intonacati sotto portici puzzolenti, stamberghe che conservavano i segni labili della loro eleganza originaria, chiesette romaniche occupate da falegnamerie,…
Nelle mie perlustrazioni letterarie incontrai ed amai con disordinata passione Dostoevskij, Camus, Kerouac, Nietzsche, Balzac, Svevo, Pirandello, Brecht, Kafka, Calvino e Pavese, Hemingway, Ionesco e Bekett, Genet, Vittorini e Buzzati, Arpino, Céline, Borges, Faulkner, Llosa, Proust, Bulgakov e Pasternak, Sciascia e Gadda, Mailer, Levi, Fenoglio, Morante e Moravia, Pasolini e Pratolini, Dos Passos, Malerba, Gramsci, Steinbeck, Mauriac, Tolstoj, Silone, Sartre, Tomasi di Lampedusa, Bassani e Cassola, Natalia Ginzburg, Chiara, Flaubert, Manganelli, De Foe, Bacchelli, Nabokov, Queneau, Jarry e Artaud, Feuerbach, Breton, Malraux, Majakovskij, Musil, Dickens, Melville, Marquez.
Girovagavo di giorno, condotto dalla casualità, dalla improvvisazione, dall’estro momentaneo: qualche volta mi incamminavo dietro una bella ragazza e la seguivo a debita distanza, senza secondi fini, per vedere dove mi conduceva; altre volte, con la stessa curiosità, seguivo il carretto di un fruttivendolo o il passo strascicato di un vecchio.
Leggevo di notte, dopo essermi preparato tre o quattro libri sul comodino: qualche volta il libro che aprivo mi assorbiva totalmente e mi impregnava la notte; altre volte nessuno dei libri preparati aveva la capacità di prendermi e di portarmi da qualche parte: li sfogliavo allora, alternandoli casualmente, saltando le pagine alla ricerca dell’amo giusto, leggendo qua e là nella speranza di trovare fra le righe il boccone che mi ingolosisse.
Di giorno osservavo la gente con la stessa curiosità con cui contemplavo i libri esposti nelle librerie. Fra gli scaffali mi lasciavo sedurre da alcuni libri che più di altri sapevano lanciarmi irresistibili ed indecifrabili richiami con il titolo, la forma, il colore, la grafica. Per strada mi lasciavo incuriosire da “esemplari” che più di altri sapevano stregarmi con i segnali più vari che potevano scaturire dall’andatura, dall’abbigliamento, dallo sguardo.
Avrei voluto sfogliare alcune di queste persone con la stessa facilità con cui sfogliavo i libri. Seguendo una delle mie casuali prede, permettevo che si affollassero nella mia mente le mille domande di una improbabile intervista. E con la fantasia facevo seguire all’intervista una serrata indagine che ricostruisse nei dettagli l’intera personalità del soggetto: la storia presente e quella passata, l’infanzia e gli amori, il lavoro e le amicizie, i sogni e le delusioni.
Di notte trovavo nei libri le storie che non avevo potuto estrarre dalla realtà.

Nessun commento:

Posta un commento