martedì 10 novembre 2009

RECENSIONE (2) : L'isola dei sette fetori.

“Una mattina Ferdinando venne svegliato dallo stridio acuto di uno stormo di gabbiani, dalla luce del sole e da un fetore insopportabile. Aprì gli occhi e - col suo bel pigiama verde decorato di timoni, ancore e bussole - si ritrovò rannicchiato in un copertone da camion sotto uno splendido cielo azzurro attraversato dal volo confuso di nere sagome di uccelli. Davanti a lui quattro sacchi neri di plastica brulicavano di topi indaffarati ed indifferenti”.
Questo è il prologo dello straordinario ultimo libro di R.A. - L'isola dei sette fetori - che ci immerge immediatamente in un atmosfera dalla quale è difficile distaccarsi (e, di conseguenza, ci incolla irresistibilmente alle pagine del libro …).

Il romanzo racconta le mirabolanti vicissitudini di Ferdinando, ventenne fornaio in cerca di occupazione, che si risveglia su un’isola sperduta interamente costituita da una montagna di rifiuti solidi urbani immersa in un mare putrido ed immobile.
Lo sbigottimento iniziale si affievolisce subito, soverchiato dalla impellente necessità di sopravvivere e dal bisogno urgente di escogitare espedienti per sfangare la giornata, trovare cibo, organizzarsi un riparo…
Lo schema narrativo ricalca le avventure di Robinson Crusoe: allo sgomento iniziale, qui come nel racconto di Defoe, segue la ricerca dell’adattamento per la sopravvivenza, l’esplorazione dell’isola, la predisposizione di un luogo adatto per costruirsi un rifugio, il reperimento di oggetti utili,... Il gioco dei parallelismi fra questo modello e quello originale è stimolante, ma più interessanti appaiono le inevitabili diversità rispetto all’archetipo date dalle inconsuete condizioni e dall’anomala scenografia, dalle dissomiglianze fra le epoche storiche e la cultura dei due naufraghi, dalle differenti esigenze prioritarie, dal diseguale spirito di adattamento, dalle dissimili capacità di risposta alla condizione di emergenza, dalla distanza che separa i due protagonisti per quanto concerne le conoscenze tecniche e le abilità manuali, la creatività, il livello di sopportazione della solitudine, l’equilibrio mentale, …
Anche Ferdinando, come Robinson - ma non negli stessi termini - si pone il problema dell’essere, del mondo, di Dio, dell’anima e dell’eternità. Anche Ferdinando elabora progetti di fuga. Anche Ferdinando si lascia cogliere dalla disperazione e coltiva pensieri di morte. Anche Ferdinando infine, grazie a questa esperienza da anacoreta, modifica nella solitudine la sua personalità e cambia radicalmente la sua veltanschauung.

Il finale, che non possiamo rivelare, è assolutamente imprevedibile e sorprendente.
Un dubbio inquietante, alimentato da impercettibili messaggi dell’autore, accompagna la lettura di questo piccolo capolavoro: scorrendo le pagine si fa strada in noi il sottile sospetto - non imprevedibile - che, in un ribaltamento grottesco della realtà, l’isola dei sette fetori sia la il mondo in cui viviamo e che la patria a cui aspirava Ferdinando sia una sperduta isola al largo delle coste sudamericane.

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