martedì 10 novembre 2009

1954 - LA SCUOLA (3) : leggere e scrivere e far di conto

Ogni mattina ci presentavamo a scuola coi nostri grembiuli freschi di bucato, i colletti bianchi, il numero romano della classe ricamato sul taschino, le scarpe nettate quanto era possibile, le guance arrossate per la strigliata energica a base di sapone da bucato e acqua fredda imposta dalle mamme, i capelli districati e pettinati, le mani quasi presentabili.
Ogni pomeriggio uscivamo dal cancello della scuola come da una zuffa, coi grembiuli sbottonati e stazzonati, i colletti di traverso, le scarpe impolverate, le guance arrossate per l’affanno delle corse, i capelli arruffati, le mani chiazzate d’inchiostro.

Nella cartella di cartone pressato si portavano a scuola uno o due libri, pochi quaderni, un astuccio di legno con scomparti per una cannuccia, due o tre pennini, una matita, un temperamatite, una gomma bicolore.
L’astuccio aveva il coperchio a scorrimento che serviva come righello.
Fra gli articoli di cancelleria obbligatori vi era anche una scatola di matite colorate: i poveri l’avevano semplice, con sei pastelli; i benestanti l’avevano doppia, con dodici pastelli e indefinibili gradazioni di colore. Sulla scatola era stampato – in colori pastello – un Giotto fanciullo vestito da pecoraio che ritraeva il suo agnello su una pietra liscia usando un tizzone di carbone, per ricordare a noi pasticcioni inguaribili che la capacità di disegnare è innata e che l’educazione artistica non serve a nulla; come a nulla serve la musica se si è stonati, a nulla la poesia se non si è di animo gentile, a nulla la scuola per quelli destinati alla zappa.
Nonostante ciò i maestri si sfiancavano per sgrossare le nostre menti e per cercare nella massa amorfa o ribelle le rare perle che avrebbero compensato col successo scolastico la loro fatica.

Il metodo d’insegnamento era direttivo e selettivo: il maestro faceva lezione e assegnava i compiti; chi capiva e sapeva, lavorava; chi non capiva e non sapeva, era perseguitato da ripetizioni, compiti supplementari, esercizi di copiatura estenuanti.
La memoria era l’unica dote richiesta, indispensabile per imparare le tabelline e le poesie, per conoscere le formule della geometria e i nomi delle città, delle regioni e degli stati di tutti i continenti, per ricordare le date di mille battaglie e quelle di mille paci, per sapere l’altezza dei monti e la lunghezza dei fiumi.
I libri, di lettura o sussidiari, erano illustrati con disegni dai colori tenui e acquerellati ed erano zeppi di considerazioni ispirate al motto “Dio, Patria e Famiglia”.
Veniva incoraggiata la competizione che disgregava le relazioni in classe favorendo alleanze classiste; l’aula rispecchiava il paese con le sue quasi immote gerarchie.
I migliori erano esaltati, i reietti erano reietti, ai mediocri si prospettava la scelta fra il paradiso degli eletti e la palude dei rifiuti.
Anche per questo motivo nasceva proprio nella scuola la voglia di riscatto di chi, appartenente alla umile classe dei contadini, degli operai o dei piccoli artigiani, maturava la convinzione e la consapevolezza di valere di più dell’imbranato figlio del farmacista.

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