Siamo in Romania. Romeo è un cinquantenne perbene, un piccolo-borghese
che vive in una piccola città di provincia: è stimato da tutti, dentro e fuori
dell’ospedale in cui lavora come chirurgo; ha una casa dignitosa, una bella
moglie e una figlia – Eliza – obbediente e volenterosa.
Dopo aver abbandonato il paese oppresso dalla dittatura di
Ceausescu, alla caduta del regime è rientrato per contribuire alla
ricostruzione, ma si accorge che la fine del dispotismo non apre
automaticamente le porte alla democrazia.
Il paese è sfaldato, molti problemi permangono, le
ingiustizie trovano forme nuove per sopravvivere e prosperare.
Si rassegna. Continua a lavorare con senso di
responsabilità, accetta lo stato delle cose, mantiene unita la famiglia (pur
coltivando una relazione extraconiugale che lo conforta della routine un po’ depressa
delle sue giornate), ma – da buon padre – si ritrova a proiettare tutte le sue
aspettative sulla figlia diligente e remissiva, investe su di lei tutte le
attenzioni, stabilisce che sarà lei a raggiungere i risultati che a lui sono
stati negati. E decide che, per salvarla dalle pastoie di un paese alla deriva,
dovrà mandarla, dopo il diploma, a completare gli studi in Inghilterra.
L’equilibrio sul quale ha imbastito la sua esistenza viene però
interrotto prima da alcuni inspiegabili vandalismi (un sasso contro la finestra
di casa, il parabrezza dell’auto fracassato; intimidazioni? vendette?), poi da
un’aggressione nei confronti della ragazza, un tentativo di stupro avvenuto
proprio alla vigilia dell’esame di maturità, passaggio irrinunciabile per
l’ammissione al college inglese.
Il buon uomo, che ha incanalato sull’avvenire di Eliza tutte
le sue energie e la sua voglia di riscatto, è spiazzato, frastornato. Deve, ad
ogni costo, districarsi dall’impasse. Sa che la figlia supererà il trauma col
tempo, ma sa anche che se la ragazza – confusa per lo shock – non si presenta o
non supera l’esame di maturità, tutti i progetti di una vita franeranno.
È necessario fare qualcosa, qualunque cosa, subito, su tutti
i fronti: da una parte occorre agire sulla ragazza, consolarla e
tranquillizzarla, ma anche scuoterla dal torpore post-traumatico e spronarla a
superare il dolore e la confusione; dall’altra bisogna cercare, fra amici
influenti e antichi compagni in carriera, possibili escamotage che gli lascino
una via d’uscita e gli permettano di risolvere il problema.
La macchina da presa resta incollata, inquadratura dopo
inquadratura, al protagonista che galleggia nella desolazione di ambienti
urbani squallidamente anonimi, annaspa nell’impotenza, indaga, si muove a vuoto,
incontra funzionari e poliziotti, chiede favori in cambio di favori, accetta
compromessi.
La tensione è sottile e pervasiva, come la polvere che
aleggia nell’aria.
Il groviglio è inestricabile.
Romeo Mongiu è confuso, non sa come uscirne, non vede
spiragli.
E nemmeno il regista sa trovare soluzioni: anche lui fa
parte della generazione della terra di nessuno, quella che ha covato profondi
rancori e nutrito grandi speranze, che ha sognato l’emancipazione e la libertà
ed ha scoperto alla fine, dopo l’ubriacatura seguita alla rottura delle catene,
che la gabbia più robusta non è quella costruita e imposta dai dittatori ma
quella interiore degli schiavi sopraffatti dalla rassegnazione, disabituati
alla libertà.
Il destino degli eterodiretti che si affrancano
dall’oppressione è quello di smarrirsi, abbacinati dalla libertà o resi
impotenti dal paternalismo.
Spesso sono le sorti individuali, sommate, a descrivere il
destino collettivo e tracciare la storia di un paese.
La conclusione della vicenda, forzatamente ottimista, non è
credibile: non convince il fatto che sia la figlia – fino a ieri remissiva al
limite dell’ebetudine – a tagliare il nodo gordiano e decidere di non partire.
Il regista – inventando questo lieto fine – chiude la vicenda con una solenne dichiarazione di ottimismo: ci vuol far credere in sostanza che il gesto di Eliza condensi in sé la determinazione (sua e della sua generazione) di intraprendere il cammino verso l’autonomia ed esprima la voglia di voltare pagina (la stessa voglia che aveva indotto Romeo a fuggire dal paese oppresso da Ceausescu, la stessa voglia che lo aveva poi indotto a tornare alla fine della dittatura).
Ma noi spettatori scettici e smaliziati non crediamo alle nobili proclamazioni del regista.
Crediamo invece a quello che ci dice DURANTE tutto il film che, in realtà, è un doloroso inno ai rimpianti e alla rassegnazione, una lamentosa recriminazione, una accorata dichiarazione di pessimismo (implicita nella decisione di Romeo di far espatriare la figlia, esplicita nel suo continuo ripetersi che “non si possono cambiare le cose”).
Il regista – inventando questo lieto fine – chiude la vicenda con una solenne dichiarazione di ottimismo: ci vuol far credere in sostanza che il gesto di Eliza condensi in sé la determinazione (sua e della sua generazione) di intraprendere il cammino verso l’autonomia ed esprima la voglia di voltare pagina (la stessa voglia che aveva indotto Romeo a fuggire dal paese oppresso da Ceausescu, la stessa voglia che lo aveva poi indotto a tornare alla fine della dittatura).
Ma noi spettatori scettici e smaliziati non crediamo alle nobili proclamazioni del regista.
Crediamo invece a quello che ci dice DURANTE tutto il film che, in realtà, è un doloroso inno ai rimpianti e alla rassegnazione, una lamentosa recriminazione, una accorata dichiarazione di pessimismo (implicita nella decisione di Romeo di far espatriare la figlia, esplicita nel suo continuo ripetersi che “non si possono cambiare le cose”).
Tutto il film descrive (in sequenze fredde come il gelo che
si espande in chi agisce senza speranza) la lenta deriva personale, morale e
politica di un uomo onesto che vive di menzogne, di un marito che ha smarrito
la passione ma resta in famiglia per salvare le apparenze e non turbare la
figlia, di un amante che vive una relazione senza calore, di un cittadino
impegnato che nel passato aveva creduto nel risveglio etico della nazione ed
ora è costretto a cercare raccomandazioni ripetendosi che “a volte, conta solo
il risultato”.
E a proposito del gesto di Eliza, è lecito nutrire il sospetto che la ragazza decida di restare perché – paradossalmente – è disabituata a decidere.
E a proposito del gesto di Eliza, è lecito nutrire il sospetto che la ragazza decida di restare perché – paradossalmente – è disabituata a decidere.
Paradigmatica l’inquadratura che ci mostra, per una frazione
di secondo, la finestra infranta dall’ignoto vandalo che ha i vetri rattoppati,
non sostituiti.
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