Nella loro “dimora” immersa nel verde della
campagna inglese, Kate e Geoff (Charlotte Rampling e Tom Corteney) si preparano a
festeggiare i 45 anni di matrimonio.
Il loro è un tranquillo rapporto consolidatosi
col tempo in una routine fatta di intese silenziose, di affettuosa pazienza, di
quiete complicità indulgenti, di amorevoli attenzioni reciproche. Le giornate
scorrono rilassate, fra passeggiate nei campi (col cane Max libero da guinzagli),
rimpatriate con ex-colleghi, thè con amiche o mogli di amici, rari shopping in
città.
In una di queste giornate contrassegnate dal
più sereno trantran, Geoff riceve dalla lontana Svizzera una lettera: decifrandola
con fatica (è scritta in tedesco), viene a sapere che su un ghiacciaio alpino è
affiorato il corpo ibernato di Katya, la sua prima fidanzata, precipitata in un
crepaccio durante una loro escursione nei lontani anni ’60.
Geoff rimane inebetito dalla notizia e non
riesce a nascondere la costernazione: a Kate che lo interroga comprensiva e
partecipe, sussurra l’angoscia che lo assale nell’immaginare il corpo di Katya
ventenne, restituito inalterato dai ghiacci, mentre il suo è deperito e appare malconcio
e decadente, ingrigito e stanco, irrimediabilmente fragile e svigorito.
Kate, con la
sapienza psicologica che ha acquisito nella lunga dimestichezza con le nevrosi coniugali,
prova a confortare il suo smarrito Geoff, cercando di superare l’inevitabile
stizza che l’assale nello scoprire questo ignoto amore giovanile del suo uomo.
Ma quando vede che i suoi tentativi non hanno effetto e si accorge che Geoff si
abbandona senza ritegno all’avvilimento e alla depressione, la stizza diventa
risentimento. Il risentimento diventa poi incontenibile irritazione quando
Geoff comincia a incupirsi, a chiudersi in sé, ad evitarla, a rimuginare
memorie, cercare reliquie del passato, annegare dentro inconfessate nostalgie ripescando
antiche foto e sfogliando preistorici quaderni di viaggio.
Kate percepisce di
aver dedicato l’intera vita a questo rapporto ma di essere stata “seconda” e
secondaria (e forse si accorge anche di quanto sia assonante il suo nome, Kate,
con quello della scomparsa/riapparsa Katya). Per capire meglio, per valutare
l’ingombro e la consistenza di questo antico amore (e forse per riconsiderare
da queste nuove prospettive il reale senso di tutta la sua vita, più che per trovare
modi ormai inutili per aiutare il povero Geoff), Kate inizia una sua riservata
indagine: rovista fra i ricordi del marito, spalanca bauli sigillati da mezzo
secolo, apre lettere, sfoglia diari, legge biglietti, esamina souvenir, studia
fotografie e diapositive. Ogni dettaglio che emerge dal passato allunga
un’ombra sul presente, ogni cimelio offre un’informazione, ogni informazione
apre un’incrinatura. (La scena paradigmatica del film è quella che inquadra
Kate che proietta le vecchie diapositive negli angusti spazi del solaio di casa:
la metà sinistra del quadro è occupata dalla figura della Rampling seduta, ben
illuminata, perfettamente a fuoco con le sue rughe e il suo sgomento; l’altra
metà del quadro è occupata dal telo su cui si intravvedono in trasparenza le
immagini sbiadite di Katya).
Geoff affonda nella
consapevolezza di aver consumato la vita seppellendo e congelando le
effervescenze della giovinezza; ed è avvilito dal declino più che dal sospetto
di essersi rassegnato a un rapporto di ripiego.
Kate vede
sgretolarsi davanti agli occhi – incredula, rabbiosa – le ordinarie sicurezze
pazientemente organizzate nel corso della sua vita. E improvvisamente tutto per
lei perde senso (quando deve indicare le musiche che faranno da sfondo alla
festa del 45° anniversario del suo matrimonio – i picchi emotivi degli anni
migliori, la colonna sonora della sua vita sentimentale – detta i titoli come
se stesse facendo un’ordinazione al garzone del salumiere).
Entrambi inoltre
titillano rammarichi per una vita che avrebbe potuto essere e non è stata. (Ma chi, facendo i consuntivi, non si ritrova a
nutrire nostalgie “per un
bacio mai dato”, per la giovinezza lontana, per i luoghi lasciati e ora
irriconoscibili, per progetti mai realizzati? Si sa: i sogni svaniti sono
sempre più fulgidi della realtà inappagante che viviamo).
I due provano a voltare pagina, a
ritrovare il quieto tepore di una vita; e cercano le occasioni rivelatesi
magiche nel passato: una musica, un ballo, la complicità data dalla
consuetudine, l’intimità. Ma l’ingombrante convitata di ghiaccio non aiuta
certo a dissolvere le loro angosce: lui vede ovunque intorno a sé i segnali del
finale di partita; lei viene assalita dalla inaspettata consapevolezza di essere
stata premurosa compagna di viaggio di un estraneo; in ambedue affiora il
sospetto di essersi sorrisi coltivando pensieri diversi, di aver consumato
l’intera vita condividendo tutto fuorché il fulcro profondo della affettività.
Il groviglio emotivo in cui annegano
non è del tutto decifrabile. Si manifestano più evidenti i loro rapporti
asimmetrici: Geoff diventa ancora più assecondante e insicuro (ma nello stesso
tempo è snervato da questa sua debolezza); Kate appare più determinata e
funzionale (che comincia a dubitare della sua efficacia terapeutica). Riemerge forse
per tutti e due il rammarico sempre taciuto per la mancanza di figli (che
pareva superato ma ricompare quando Kate scopre che Katya era incinta al
momento dell’incidente). Prende significato la loro disattenzione nei confronti
della costruzione della memoria familiare (non conservano foto della loro
esistenza comune); perde invece significato la consuetudine alla parola (mentre
si ingigantiscono i silenzi, più eloquenti di mille parole).
Il commosso discorso di Geoff alla
festa di anniversario sembra risolvere tutto: è sincero, ma forse ormai
inefficace. E non sappiamo se le lacrime che appaiono sul viso immobile di Kate
siano di commozione (per la riappacificazione) o di disperazione (per la
assolutamente incancellabile disillusione). Tutti siamo consapevoli che il
rimosso pesa e il non detto assorda; che i fantasmi sono indissolubili; e che
le ferite dell’anima non si rimarginano.
Dei protagonisti, premiati a Berlino
con l’Orso d’oro per l’interpretazione,
ho apprezzato i movimenti, i gesti e gli sguardi (l’apice del film è per me il
primo piano della Rampling a letto, con gli occhi sbarrati nel buio).
Della regia è rilevante la scelta
della lentezza, della sottrazione, della compressione emotiva che si determina nei
silenzi.
Ho controllato il testo di “Smoke gets in your eyes",
il brano dei Platters che ricorre nel film e lo conclude: nella seconda strofa
dice “quando
il tuo cuore è acceso, devi renderti conto che hai del fumo negli occhi”; e alla fine ribadisce che anche “quando
la fiamma d’amore si spegne, tu hai del
fumo negli occhi”.
La citazione di Kierkegaard è marginale ma
non casuale.
Bergmann e Haneche non sono citati.
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