Come un boccalone, dopo alcune resistenze, alla fine ho voluto
vedere questo film, soltanto per una certa nostalgia del vecchio film di cui è
remake, che è La piscina di Jaques
Deray, del 1969, con Alain Delon e Romy Schneider (e Jane Birkin).
Come supponevo, è stata una delusione. Irritante.
Nei due film la storia si sviluppa analoga: ci sono un lui e una
lei in vacanza; arriva l’ex di lei con una figlia adolescente; mentre l’ex di
lei ci riprova, lui si lascia sedurre dalla ragazzina; i giochi si concentrano
o si dipanano attorno alla piscina della villa; i due maschi si azzuffano,
prima verbalmente poi fisicamente; ci scappa il morto; chiusa la parentesi: si
ricomincia come prima, con un una qualche groppo in più, che tanto, anche
prima, non è che fossero rose e fiori.
A gonfiare il vecchio film c’erano le scene pruriginose del bel
Delon e della deliziosa (anche se già un po’ impollastrata) Romy Schneider, piacevoli
soprattutto perché era stuzzicante analizzare la confidenza erotica di due attori
che fino a pochi anni prima erano stati sposati; ed era una
goduria veder ciondolare attorno alla piscina il dinoccolato corpo della conturbante
Jane Birkin (quella dell’orgasmica canzone Je t'aime... moi non plus cantata in
coppia con Serge Gainsbourg).
A sgonfiare A
bigger splash invece c’è la difficoltà di rendere credibili i
contorsionismi psicologici di un quartetto composito che incrocia le corna in
un’epoca, quella contemporanea, ben lontana da quella effervescente degli anni
Sessanta, quando il sesso, le gelosie, la seduzione, i tradimenti, i
risentimenti, i rapporti generazionali, le disinibizioni, il matrimonio e
l’emancipazione femminile avevano ben altre rilevanze, si innestavano su altre
fragilità e dirompevano in ben altri contesti.
Il melodramma è stracondito da artifici di
sceneggiatura barocchi: lei (la cavallona Tilda Swinton) è una rockstar
forzatamente afona per un intervento alle corde vocali; di contro il suo ex
(Ralph Fiennes) è uno sborone ipereccitato e logorroico (al punto che è un
sollievo vederlo finire con la testa sott’acqua). Il compagno di lei (Matthias Schoenaerts)
è il ritratto della depressione, come personaggio e come attore; mentre la figlia
dell’ex (Dakota Johnson) è una bambolona americana (stupisce leggere che è
figlia della deliziosa Melanie Griffith; non stupisce sapere che è la
protagonista di Cinquanta sfumature di grigio) che loliteggia per tutto il film
senza avere le arie ambiguamente maliziose del personaggio di Nabokov e Kubrick.
Nel cast appare anche, nei panni di un improbabile
maresciallo dei carabinieri, uno sconvolto Corrado Guzzanti; e si capisce
perché le indagini sul delitto non approdano a nulla.
Per tre quarti il film è thriller psicologico, il
finale è da giallo abortito.
Nel suo insieme il film è un (involontario?) spot
turistico, ben fotografato, di Pantelleria. Guadagnino, politically correct, non
dimentica – forzosamente – di accennare al dramma degli sbarchi clandestini e
dei migranti.
Nessun commento:
Posta un commento