Si tratta di un’opera prima, e si vede: c’è tutto il
condensato fervore e la passione di chi ha covato a lungo la voglia (adolescenziale)
di raccontare e poi ha dovuto (nella
prima maturità) scontrarsi con il sistema castrante ed accettare infine (da
adulto inserito) qualche compromesso nel misurarsi coi meccanismi inibitori
della macchina produttiva; e non c’è invece la pretenziosità supponente o la
gonfia presunzione o le certezze di Sorrentino o di Martone.
Il film, sia pure con qualche sbavatura, mantiene la genuinità
di un’intuizione semplice e geniale come quella di trapiantare la storia di un
supereroe in una borgata romana.
Il protagonista di questa strampalata avventura è Enzo
Ceccotti (Claudio Santamaria), un delinquentello di periferia, introverso e solitario:
non ha donne e amici; vive per strada campando di scippi e borseggi; ha perso
ogni ambizione, mantiene un profilo basso, non fa parte di nessuna banda; si
rintana, la notte, in un appartamentino che pare una topaia, dormendo su un
divano sfondato sommerso da dvd porno e nutrendosi quasi esclusivamente di budini
alla vaniglia.
La prima scena descrive un frenetico inseguimento: Enzo scappa
incalzato dalla polizia (“Corri ragazzo
laggiù …”), si rifugia su una chiatta sul Tevere, sta per essere beccato,
s’immerge nelle acque putride del fiume, incespica sott’acqua in alcuni bidoni abbandonati
contenenti sostanze radioattive, ne sfonda uno nel tentativo di riemergere, ci
casca dentro, ne esce imbitumato fino alla punta dei capelli.
Solo dopo alcuni giorni, passati tossicchiando e vomitando, scopre
di essere sostanzialmente invulnerabile e di possedere una forza sovrumana. Se
ne accorge per caso, quando, in compagnia di un suo vicino di casa, Sergio, si
scontra con due “trasportatori” di coca (quelli che ingeriscono degli ovuli per
passare i controlli): Sergio viene ammazzato; lui, ferito da un colpo di
pistola, precipita dall’alto di un condominio in costruzione e si sfracella al
suolo; si alza intontito, torna a casa, si medica da solo e se ne va a letto; la
mattina dopo, mentre scopre con stupore che la ferita è completamente
rimarginata, si ritrova fra i piedi Alessia, la figlia sciroccata di Sergio che
lo frastorna con mille domande: la caccia di casa e, in un gesto di stizza,
colpisce con un pugno la porta di casa e ci lascia un foro come se avesse
mollato un colpo di bazooka; incredulo, per verificare la mutazione, stacca un
termosifone e riesce a ripiegarlo come un origami …
Gli eroi della Marvel, nel momento in cui si accorgono di
avere dei superpoteri, pensano immediatamente alla salvezza del mondo. L’eroe de
noantri resta il ladro sfigato che era e invece che dare una svolta alla sua
vita usa i superpoteri per continuare a fare quel che ha sempre fatto: esce di
notte per andare a sradicare a suon di pugni un bancomat e portarselo a casa; poi
(scoperto che le banconote sono inutilizzabili per gli inchiostri antirapina) assalta,
sempre a cazzotti, un furgone portavalori e scappa con dei borsoni pieni di banconote,
ma prima di rincasare passa a comprarsi una vagonata di budini e a fare scorta
di dvd porno.
Ma Alessia (Ilenia Pastorelli), la svitata che si protegge
dallo squallore inaccettabile costruendosi un universo tutto suo e sognando di vivere
nel micromondo dei manga, straconvinta che Enzo Ceccotti sia il giovane Hiroshi
Shiba, alias Jeeg Robot (quello dal “doppio maglio perforante”), gli s’incolla
addosso finché riesce a risvegliare in lui, anaffettivo e solitario, istinti di
protezione dimenticati, voglie di delicatezza sepolte e perfino sete di
giustizia.
La coppia sgangherata
(un fallito-rassegnato con una fallita-alienata) consolida lentamente un
rapporto teneramente impacciato (vedi le scene nel luna-park abbandonato); e si
ritrova a dover affrontare il cattivo di turno (un fallito-incazzato), il folle
Zingaro (Luca Istrione Marinelli)
mezzo Joker (triste) e mezzo Michael Jackson (isterico), assetato di sangue e
di notorietà (e ossessionato dall’igiene), incerto fra il sogno di diventare il
re della malavita romana e quello di trionfare al “Grande fratello” (emblematica
e geniale la sintesi di queste due ossessioni condensata nella scena in cui lo
Zingaro si fa il selfie mentre massacra dei
camorristi rivali!). Lo scontro termina in un duello titanico (smargiassone come quello
fra Jeeg Robot e l’Imperatore del Drago) in cui il nostro Cecconi, invece del
super-missile perforante, lancia al nemico un water estirpato dai cessi dello
stadio Olimpico.
L’idea alla base del film è acutissima, la sceneggiatura è
solida e regge (come accade sempre quando l’ironia fa da fondamento).
La regia è sapiente e sa districarsi bene in una commedia
dissacrante che si muove fra la fantascienza (sottogenere “supereroi”) e il
noir (tendenza ”romanzo criminale”), con visitazioni nel romantico e nel
surreale, nel pulp e nello splatter; e raggiunge equilibri quasi perfetti fra
comicità e commozioni, violenze e tenerezze.
Gli interpreti sono convinti e convincenti nella loro
evoluzione (peccato che si abusi un po’ troppo, nei dialoghi,
dell’intelligibilità del romanesco stretto; ma si sa, Roma è caput mundi).
La musica è tagliata su misura (compresi i brani diegetici
di Anna Oxa, Loredana Berté e Nada che solleticano l’immaginario collettivo
degli anni ’80).
La mancanza di effetti speciali fa la
fortuna di questo film (vedrete che schifezza di remake faranno gli
americani!).
Le location sono, forse
inconsapevolmente, geniali: dove meglio che nella inerte malinconica Roma (diversa
dalla Roma della “Grande bellezza”) e nelle lerce desolate sue borgate può
essere collocata la stralunata avventura di un supereroe indolente in lotta (malgré lui) con un balordo malvagio che
aspira, cantando o sparando, a forare il video?
Trapela sottotraccia
(ma chiara e degna di sottolineatura) un’acuta analisi degli effetti della TV degli
anni ’80 sul pubblico infantile: l’onnipresente balia virtuale ha allattato i
bambini di allora – oggi quarantenni – alimentandoli con prodotti ammalianti e
scadenti, passivizzanti ed epidermici; ha imbottito occhi e orecchie di
immagini rutilanti e musichette sceme; ha creato una moltitudine di disadattati
un po’ inadeguati nelle relazioni sociali; ha determinato fragilità e scompensi
affettivi; ha prodotto insomma una generazione di insoddisfatti, più o meno consapevoli
della propria immaturità. Nel film è ben rappresentata questa generazione nella
prima sua mutazione genetica (quella da monoscopio, a cui seguiranno – a ondate
– quella da console, da computer, da smartphone, …); e sono icasticamente descritte,
nei tre personaggi principali (ugualmente emarginati e diversamente instabili)
le tre differenti reazioni a questa dipendenza: la rassegnazione disillusa di
Enzo, l’alienata fuga onirica della fragile Alessia e la furiosa voglia di
protagonismo e di visibilità dello Zingaro.
Tre modi diversi di
cercare il riscatto che esplodono nel momento del doloroso passaggio dalla
infinita adolescenza alla inevitabile “maturità”, tre scappatoie inutili: visto
che l’ossessione di emergere e “sfondare” è autodistruttiva, l’evasione dalla
realtà è impossibile e la rivincita lascia intorno il deserto. E non basta la
maschera di Jeeg Robot, fatta di lane colorate, a scaldare il cuore dell’eroe
solitario chiamato a salvare il mondo.
-->
Nessun commento:
Posta un commento