Subito, mentre ancora scorrevano titoli di
coda, mi è venuto da pensare che il
titolo più azzeccato per questo guazzabuglio avrebbe potuto essere Dead man stalking.
Amy Ryan (Olga
Kurylenko) è una studentessa fuori corso che fa la
stuntwoman e, evidentemente attratta dal rischio, intrattiene una relazione con
Ed Phoerum (Jeremy Irons), il suo non giovane professore di astrofisica. Lui ama
stupirla con scherzose premonizioni e, nell’intensissima corrispondenza che
intrattiene con lei, si firma “il mago”.
Ebbene, il mago a un certo punto scompare,
ma lascia dietro di sé – come le comete che studia – una scia di messaggi
(lettere, mail, video, regalini, sms, …) che, opportunamente distribuiti
secondo un piano di consegne maniacalmente puntiglioso, arrivano a costellare
le ore di solitudine della desolata fanciulla (ma anche, sia detto, a piantarle
intorno paletti che la intrappolano dentro il suo incancellabile ricordo).
Viene facile dileggiare un soggetto così intricato
e scombinato che vuole far sembrare romantico un maturo amante ostinatamente geloso
che pretende alla lettera il rispetto, a futura memoria, dei giuramenti amorosi
(“tua per sempre”). Anche se la
cronaca ci ha abituati a tutto, appare poco credibile un soggetto (evidentemente
insicuro) molesto al punto di macchinare, nei pochi mesi del suo tracollo
fisico, un’intricatissima sceneggiata (coinvolgendo, oltretutto, una miriade di
comparse inspiegabilmente condiscendenti tra familiari e colleghi accademici,
avvocati e locandieri, spedizionieri e barcaioli).
Così come sarebbe spassoso spulciare e virgolettare
alcune battute improbabili (al cui confronto le frasette dei baci-perugina
paiono scritte da Balzac); o rilevare e sottolineare certe trovate assurde (come
il cane, la foglia fremente e l’uccello, reincarnazioni di Ed); o stigmatizzare l’inserimento di personaggi
improbabili (come il barcaiolo stralunato); o ironizzare (perfino) sulla
colonna sonora che fa da tappetino ruffiano a queste improbabili romanticherie
funeree.
C’è una frase nel film – excusatio non petita – che sorprende per
la sua sconcertante trasparenza: ed è quella con la quale un personaggio, non
ricordo quale, bolla il corteggiamento postumo definendolo un intrigo folle “buono
per la quarta di copertina di un romanzetto di fantascienza”. Perché di questo si tratta: fantascienza
alla Liala, con seduzioni, innamoramenti, milieu borghese, figlie gelose (e
incoerenti), sensi di colpa, location da turismo charmant.
C’è perfino un
momento in cui (inconsapevole autogol) si sente sullo sfondo un brano dei
Depeche Mode che - ho controllato – proclama, dentro un film verbosissimo,
l’inutilità delle parole e la ineffabilità del silenzio (Words are very unnecessary … words are meaningless … Enjoy the silence
… id est: Le parole sono del tutto
superflue … non hanno significato …
Goditi il silenzio).
Nel film si alternato tre tipi di inquadratura:
quelle in cui – monitor dentro schermo – l’infelice dialoga con le immagini
dell’ormai intoccabile amante; i primi piani del bel volto stupefatto o lacrimevole
di Amy; e le cartoline dal lago d’Orta (con paesaggi riflessi) o di Edimburgo o
del Tirolo. Più qualche nudo, che non guasta mai.
Le ambientazioni sono insolite per Tornatore
che, da stanziale della macchia mediterranea, qui si fa migratore. Insolite ma
necessarie. Se la storia si fosse svolta in Sicilia, quanto sarebbe durata
l’asettica finzione? Dove avrebbe trovato Ed morituro la complicità e la
riservatezza necessarie per allestire il teatrino della separazione
procrastinata?
E, sempre a proposito di ambientazione, che idea cretina è quella di ribattezzare con
nome harrypottiano (Borgo Ventoso!) la bella isoletta rodariana di San Giulio?
La
ragnatela che ingabbia la fragile protagonista (che si presta anche a posare
per uno scultore in asfissianti calchi total-body) soffoca anche il film che si
avviluppa in se stesso e non riesce a decollare. Lo spettatore è catturato
(lui, dico, non la sua emotività) e invischiato in un pantano melò dal clima intimistico
irrespirabile. Solo alla fine, dopo oltre due ore di apnea (che sembrano
dodici), si apre uno spiraglio che ci fa sperare nell’affrancamento della
studentessa plagiata (che si allontana – altra immagine scontata – verso il suo
avvenire).
La
storia (non nuova) di un amore che vuole superare i limiti della natura, qui oltrepassa
anche i limiti della sopportazione. I commiati, per la contraddizion che nol consente, non possono durare ad
oltranza. E l’elaborazione del lutto, per essere tale, prevede tempi elastici
ma non illimitati.
Ed, che fa il
seduttore anche dopo morto, è uno stregone che non incanta nessuno.
Mi vien da pensare
che questo filmetto sia il grottesco specchio dell’attore e del regista che –
come certe stelle – brillano a carriera estinta.
PS 1
A margine, ci si può
chiedere anche perché in un film che si sviluppa tutto intorno alla
comunicazione tecnologicamente avanzata siano presenti dei portatili sempre
impallati (che si disinceppano con vigorose pacche, come i distributori di sigarette) e che la giovane
Amy non sia in grado di silenziare il suo cellulare che squilla nei momenti più
inopportuni.
PS 2
Un’idea, nel film,
ha stuzzicato la mia curiosità. Ma non so se sia mai stata nelle intenzioni
consapevoli del suo autore o se non sia invece il prodotto abusivo delle mie
arbitrarie distillazioni: ed è l’immaginare che un amore 2.0 (declinato e
nutrito con i nuovi social) possa illudersi di aspirare alla soprannaturalità e
ambire di “incarnarsi” nell’universo digitale con utopie di immortalità,
millantando qualche chance in più rispetto agli amori di tutti i tempi,
alimentati solo da fiumi di parole.
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