martedì 31 gennaio 2012

Uomini di Dio (2010) di Xavier Beauvois

Il piccolo convento sperduto fra le montagne dell’Atlante algerino non è l’avamposto militare di un manipolo di missionari dediti al proselitismo  e non è nemmeno la fortezza Bastiani del “Deserto dei Tartari” di Buzzati dalla quale si scruta l’orizzonte in attesa dell’orda di barbari che deve arrivare, ma è un’isola serena abitata da una piccola comunità di frati, un porto di quiete a cui approdano da tutti i villaggi della zona coloro che hanno bisogno di essere curati o confortati, di ricevere in dono un consiglio o un paio di scarpe.
La giornata dei monaci è scandita dalla preghiera e dal lavoro (ora et labora, appunto) ed il clima che si respira ci dice che la preghiera ed il lavoro sono l’intreccio sostanziale di una scelta esistenziale, l’ordito e la trama che tengono insieme la comunità, le basi complementari di un’armonia mentale che si esprime in una tangibile vocazione alla umana solidarietà.
Quando la violenza di un gruppo di integralisti islamici si profila all’orizzonte, feroce e concreta, i frati vivono un attimo di smarrimento e di paura: ma i dubbi presto si ricompongono, rivelando la compattezza della comunità e la profonda maturità dei singoli. La paura permane, ma la certezza di essere in pericolo non impedisce ai frati di decidere - sia pure dopo molte titubanze -  che non fuggiranno, non appronteranno difese né accetteranno la protezione dell’esercito, forti della loro sublime neutralità e del loro spirito di carità; e nemmeno si separeranno fra loro, legati da un senso di appartenenza che li tiene insieme al di sopra delle diversità individuali (simul stabunt, simul cadent); e soprattutto non abbandoneranno la popolazione che su di loro fa affidamento (“come uccelli sui rami”).
Affronteranno con serenità i rischi che accompagnano la scelta di restare, senza dare alla loro decisione l’enfasi isterica dei vocati al martirio. E spariranno in una notte gelida, nel silenzio delle montagne innevate.
Da punto di vista formale e stilistico, i pregi del film sono l’austerità, la sobrietà, il minimalismo misurato che si esprime con inquadrature lente, movimenti di macchina morbidi, sequenze lunghe, montaggio e ritmo pacati, pause e rallentamenti.
La penombra invade le scene girate nel convento, in contrasto con la luminosità degli esterni (campi, montagne, mercato, villaggio). 
Lo sfondo sonoro è prevalentemente costituito dai canti gregoriani e religiosi.
I dialoghi sono essenziali, tesi, densi. I silenzi sono intensamente significativi.
L’opzione registica risulta nel complesso coerente con la pacata scelta dei frati di operare nella quotidianità con moderazione, di andare incontro alla sorte con lucida serenità, di perseverare nella benevolenza anche davanti alla ferocia del fanatismo fondamentalista.

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