martedì 31 gennaio 2012

Midnight in Paris (1911) di Woody Allen

In Midnight in Paris,  Gil compensa le insoddisfazioni esistenziali, professionali e sentimentali con delle brevi fughe nel passato (e precisamente negli amatissimi anni Venti e nella adoratissima Ville Lumière), così come Mia Farrow  in La rosa purpurea del Cairo cercava l’evasione dalle frustrazioni cancellando il diaframma fra realtà e finzione costituito dallo schermo del cinematografo.
Woody Allen racconta ancora una volta con incantevole leggerezza la favola deliziosa dell’allontanamento, della alienazione per la sopravvivenza, della ricerca improbabile felicità.
E come è suo solito, lo fa con grande mestiere e mano lieve, crea situazioni divertenti, gioca con  tempismo sulle incongruenze spaziotemporali, usa con sapienza l’arte del contrappunto, costruisce dialoghi spumeggianti, sforna a raffica le sue inesauribili battute esilaranti.
L’incipit ci presenta una Parigi da cartolina, ma lo scorrere dei quadri con quell’accompagnamento musicale - per quanto mielosamente prevedibile - commuove tutti quelli che amano Parigi e ci vogliono tornare, e sorprende chi non conosce Parigi e desidera andarci.
Nel suo viaggio a ritroso nel tempo Gil incontra Francis Scott Fitzgerald con la sua Zelda, Hemingway e Picasso, Gertrude Stein e Matisse,  Dalì e Cole Porter, Man Ray e Luis Buñuel: o meglio, incontra le loro caricature, le macchiette di questi personaggi, ne costruisce la rappresentazione archetipa, crea la personificazione stereotipata delle figure che emergono dal suo ingenuo immaginario. Hemingway beve, è rissoso, si accompagna con un torero, parla della guerra, progetta un viaggio in Africa e si cita continuamente addosso;  Scott Fitzgerald e la sua giovane flapper sono romantici e spregiudicati, frivoli e anticonformisti, proprio come vuole la leggenda e come si presentano i personaggi dei primi racconti di successo dello scrittore americano; Pablo Picasso si esibisce con l’incipiente calvizie ed è già impelagato nella sua intricata vita sentimentale;  Gertrude Stein riceve nella sua mitica abitazione in rue de Fleureus 27 che ha le pareti tappezzate di quadri dell'avanguardia e pontifica recensendo opere di scrittori della Lost Generation; Matisse smercia i suoi quadri con la complicità dei collezionisti influenzati dalla Stein; Dalì farnetica di rinoceronti che si accoppiano; Buñuel se ne sta taciturno in disparte e si disorienta all’imbeccata di Gil che, venendo dal futuro, gli suggerisce lo spunto per L’angelo sterminatore.
La trama è sfilacciata, la consistenza narrativa è debole, la struttura è appena imbastita: ma questo non conta. Il divertimento è assicurato dalla simpatica idea iniziale, dalla accattivante sceneggiatura, dalla abilissima regia,  da un cast - soprattutto femminile - affascinante, da una recitazione spigliata e vivace, gioiosa e divertente.
Gli incontri magici, accaduti o immaginati, sortiscono il loro effetto: Gil ritrova il coraggio di rompere con la tranquilla sicurezza che gli viene offerta da un matrimonio interessante e tenta - sia pure nel presente, sia pure sotto la pioggia - di fare il primo piccolo passo verso la coerenza, più che verso la concretizzazione del suo sogno.
Musica. Titoli di coda.

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