martedì 31 gennaio 2012

Mine vaganti 2010) di Ferzan Özpetek

Tutti, con Ferzan Özpetek,  sappiamo che, nella realtà, la nostra tragicommedia non finirà tra balli e timidi sorrisi di rappacificazione con l’amor che vince tutto, consolatorio e dolce, con il pianto e la gioia trattenuti e le emozioni in libertà. Ma per 110 minuti possiamo almeno provare a crederci; possiamo rassicurarci nel vedere che c’è chi può scrollarsi di dosso la dissimulazione, chi tenta di uscire da una condizione di disequilibrio, chi ama ed è tenace, chi si impegna a sacrificarsi, chi prova tenerezza. Non importa se l’allegria che circola nel film è qualche volta eccessiva e farsesca; se alcuni passaggi o personaggi sono troppo indefiniti (la sposa fuggiasca, la sorella sottovalutata) e altri troppo “caratterizzati” (vedi la zia assetata di alcool e affamata di maschi, il padre infedele e moralista, la madre consapevole cornuta, le macchiette gay, gli invitati provinciali ingordi, i cliché delle pettegole,…). Non importa se i segreti (e bugie) di famiglia sono così poco segreti, al punto da farci sospettare che tutti i personaggi, comprese le comparse, siano in qualche modo potenziali mine vaganti (che fanno brillare, nel senso di “esplodere”, la verità, quella “che fa male”).
Vale la pena ridere e recitare; e cercare il lieto fine: quello che arriverà alla fine del film ma che sfumerà al termine dei titoli di coda. Perché così è: noi, persone reali, non saremo mai quel che desideriamo essere; e non riusciremo mai a sembrare quel che vogliamo sembrare. Oscilleremo continuamente fra maschera e realtà, confondendoci da soli.
La brava Iliaria Occhini, incongrua rispetto a tutti e per questo depositaria di un alto valore simbolico, ci consegna col suicidio una chiave interpretativa. La scorpacciata di pasticcini è come la scorpacciata di emozioni che viviamo guardando l’esilarante, vitalissimo, spregiudicato, grottesco  film che - per chi non si lascia obnubilare dalla comicità - rappresenta un divertente modo di suicidarsi, nella consapevolezza che non sarà sicuramente una risata a renderci liberi.
Anche il ballo finale - consolatorio ma irreale, quasi onirico - è lì per dire che solo al cinema si può disegnare e sognare qualcosa di diverso “sopra” la realtà. Ma solo al cinema.


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