giovedì 15 novembre 2012

A Serious Man, di Ethan e Joel Coen (2009)


Un film agghiacciante e divertente nello stesso tempo, esilarante e crudele, comico e caustico. In sala si ride a più riprese, ma il retrogusto che si insinua  negli interstizi dell’anima – una scena dopo l’altra – è di una amarezza sconfinata.
L’uomo serious del titolo è Larry, un quarantenne onesto, retto, mite, indulgente, conciliante, remissivo: un uomo buono, insomma, o un buon uomo. É sposato con una donna ineccepibilmente amorfa, ha due figli distaccati e menefreghisti come di regola, svolge con sufficiente impegno il suo lavoro da insegnante, possiede una bella casa molto americana col suo tappeto erboso, partecipa con distratta indifferenza ai cerimoniali della comunità ebraica a cui appartiene,…
Nel giro di pochi giorni i cardini su cui poggia la sua ordinaria esistenza vengono messi a dura prova: su di lui si addensa la sfortuna, si concentrano le avversità; attorno a lui – come attorno al Giobbe della sua tradizione biblica – tutto si scompone e si sfascia.
Il povero Larry attraversa catatonico il suo labirinto di sventure, disorientato dalla cattiveria di chi gli è vicino, dalla mancanza di riconoscenza, dal cinismo, dall’indifferenza impudente o da una finta attenzione ipocrita, dal perbenismo distaccato o infido, dall’egoismo. In una condizione di estraneità dolorosa (per dirla con Moravia) non riesce a ribellarsi(non lo ha mai fatto in tutta la vita); non riesce a bestemmiare (incredulo della atrocità di quel che gli accade); non riesce a pregare  (scombussolato dalla incomprensibile imperturbabilità del cielo). Il suo sorriso, sequenza dopo sequenza, si va congelando più per la sorprendente assurdità delle sue sventure che per il dolore.
Un uragano, non metaforico, potrà chiudere l’atroce mulinello di disgrazie che lo sta inghiottendo. O forse lo risveglierà da un incubo.

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