lunedì 1 giugno 2009

1955 - I GIOCHI (parte 1): le biglie

I nostri giochi organizzati erano pochi e ciclici: c’era la stagione delle biglie, quella della “bandiera”, quella del “ciàncol”, quella della caccia con la fionda, quella del nascondino, quella delle collezioni di figurine o tappi di bottiglia, quella delle arrampicate sugli alberi, quella dei carrettini, quella delle guerre combattute con spade, quella delle gare d’arco, …

Con le biglie si creavano squadre fra vicini di casa: il gioco era così coinvolgente che ci faceva perdere la nozione del tempo; giocando sotto casa ci si poteva concentrare senza preoccuparsi dell’ora: ci pensavano le madri a chiamarci quando era pronto in tavola.
Ogni tanto si organizzavano gare fra gruppi diversi: una serie di partite in casa, una serie in trasferta. Gli avversari di tutti i giorni diventavano alleati contro gli “altri”.
Il gioco era avvincente anche per l’azzardo che comportava: chi perdeva ci rimetteva le sue biglie, chi vinceva intascava quelle degli avversari.
Ogni sera si contavano le biglie e si faceva il bilancio.
Uscendo di casa per andare “alle buche” non si prendevano tutte le biglie possedute, ma solo quelle che si era disposti a perdere.

Le biglie erano di diverso materiale e di differente valore: c’erano le comuni ed economiche “cicche” di terracotta, naturale o colorata, che si acquistavano a dozzine; le più costose biglie di vetro, trasparenti e sempre coloratissime; le “marmorine”, biglie di pasta di vetro che riproduceva le venature dei marmi degli altari barcchi; ed infine le introvabili biglie di acciaio, recuperate dai cuscinetti a sfera, terribili e micidiali, che con un colpo ben assestato, potevano scheggiare le biglie di vetro, spaccare a metà le marmorine, polverizzare le cicche.

Le regole del gioco erano semplici: si partiva tutti da una linea posta ad una certa distanza dalla buca e si tentava di entrare in buca tirando a turno; chi per primo entrava in buca, dal bordo della buca poteva mirare alle biglie sparse sul campo: se le centrava se le teneva; se falliva metteva la sua biglia dietro quella canata e passava il turno. Il gioco passava nelle mani del secondo giocatore più vicino alla buca che doveva entrarci dalla sua posizione per conquistare a sua volta il diritto di mirare alle biglie sparse su campo.
Il bersaglio più ambito era quello delle biglie in fila, più facili da colpire rispetto alle biglie isolate: chi le centrava conquistava un ghiotto bottino; chi le mancava doveva mettere la sua biglia in coda dietro le altre; la fila si allungava e le probabilità di essere colpiti aumentavano progressivamente.
Se le norme fondamentali erano semplici e indiscutibili, le complicate regole supplementari rendevano il gioco fonte di beghe infinite: a seconda degli accordi preliminari poteva essere valido o non valido colpire la biglia sulla calotta invece che in pieno (regola del bù capela); se si concordava la regola del bù tött la biglia era considerata colpita se si muoveva appena per aver sfiorato foglie o sassi vicini; dicendo brüss vià oppure brüss lé era consentito o proibito pulire il terreno attorno alla biglia bersaglio; con spana sé era possibile per il tiratore usare la spanna come prolungamento per spostarsi a destra o a sinistra o verso l’alto prima di tirare,…
Se non si prendevano accordi preliminari era possibile, quando occorreva, chiamare una particolare agevolazione, anticipando il corrispondente divieto dell’avversario.

Chi arrivava prima sul campo di gioco aveva il compito di pulire il terreno di gioco, di svuotare la buca da terriccio, foglie, sassi o fango, di scavarla se si era otturata, di renderla più profondo se occorreva, di rinforzarne gli orli che dovevano essere netti e compatti.
La buca perfetta doveva avere l’orlo più stretto della tasca in modo che i campioni potessero centrarla non solo con un tiro radente ma anche con una spettacolare e precisissima parabola: la biglia così lanciata piombava dall’alto nel pozzetto e roteava sul fondo con un rullare da sballo.
Nei pomeriggi di ozio si favoleggiava di buche con la trappola: tracciavamo sui fogli di giornale la sezione della buca-ladra, con un condotto sul fondo che portava verso un serbatoio sotterraneo che doveva inghiottire le biglie degli sprovveduti rivali; il progetto era semplice e geniale, come gli schizzi di Leonardo; l’esecuzione comportava difficoltà insormontabili; la costruzione finale si presentava talmente anomala, deforme e sghemba da non abbindolare nemmeno i fratellini più tonti; ed al collaudo - comunque - non funzionava mai.

C’erano anche dei campi in pendenza: lì il gioco presentava difficoltà particolari anche per il vantaggio che i padroni di casa avevano per la familiarità con la conformazione del terreno, la conoscenza dei dislivelli, delle buche, degli ostacoli, dei dossi e delle cunette, dei canali e delle fenditure.
Nei periodi in cui tutti i ragazzi giocavano a biglie, il paese era disseminato di buche con intorno aree pulitissime: ogni cortile, ogni spiazzo al margine delle strade polverose, ogni anfratto fra le case aveva il suo campo nettato e spolverato; il cortile della scuola era disseminato di buche; alcune buche erano state scavate anche fuori della chiesa.
Era frequente vedere bambini che giocavano da soli per studiare il campo, migliorare il tiro, raddrizzare la mira, esercitarsi con la miglior impugnatura (ed evitare la presa detta tirapicio, usata dai bambini piccoli e dagli imbranati che tenevano la biglia da lanciare stretta fra l’unghia del pollice e l’incavo dell’indice).
L’allenamento per migliorare la mira e la forza del tiro continuava, dopo il coprifuoco, anche in casa, contro un muro; e poteva durare ore, se non veniva interrotto dagli adulti, insofferenti all’infinito rollìo e ai secchi e reiterati schiocchi.

Nella stagione delle biglie i ragazzi andavano in giro con le scarselle rigonfie che spesso pendevano fuori dall’orlo delle brache corte; era preoccupazione di tutti farsi rinforzare la cucitura delle tasche dei pantaloni, facili a bucarsi; i più organizzati, vista l’inaffidabilità delle tasche, si procuravano sacchetti di tela con un legaccio per chiusura.
Alla sera si contavano le biglie ammucchiate sul letto: i vincenti ricontavano le biglie conquistate e le accantonavano; gli sconfitti consideravano le perdite, calcolavano il trend stagionale, valutavano il capitale, prelevavano la minima quantità necessaria per le partite del giorno dopo, che era modica per i fuoriclasse e per i mediocri con scarsa autostima e per i parsimoniosi, più consistente per i dissipatori, gli sconsiderati e gli sconfitti che volevano correre azzardi per rifarsi.

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