giovedì 14 luglio 2011

Piazza Loggia

Brescia, 28 maggio 1974.
Non ero in piazza Loggia al momento dello scoppio della bomba. Per non so quale ragione, avevo sottovalutato l'invito alla manifestazione ed ero da qualche altra parte a fare altro. E ancora me ne vergogno.
Non ricordo dove e come mi arrivò la confusa e spaventosa notizia. Allora non c'erano i cellulari.
Mi precipitai in città passando prima dalla scuola di cinema che in quel periodo stavo frequentando: l'allarme suscitato dalla notizia della strage, il terrore, la concitazione, ... non mi impedirono di cedere al desiderio di arrivare in piazza con un mezzo qualsiasi che documentasse l'avvenimento. Caricai in macchina un videoregistratore: si trattava di un pesantissimo armamentario costituito da una videocamera collegata ad un ingombrante cassone con rulli di nastri magnetici alimentato da una batteria separata grande e pesante come quella di un' automobile.
Parcheggiai la Cinquecento lungo Via S. Chiara, in divieto di sosta, ed arrivai subito nella Piazza.
La folla si accalcava attorno alla zona dell'esplosione disegnando un ampio cerchio.
Avevano appena finito di raccogliere morti e feriti. Il selciato era ancora orrendamente insanguinato in diversi punti. Mi sembra di ricordare che nello spiazzo ci fossero sparpagliati indumenti, stracci, brandelli, scarpe, aste di bandiera, teli, borse, una bicicletta, ombrelli,...
C'era un terribile silenzio. Si sentivano solo gli urli delle sirene di ambulanze o polizia. C’erano i pompieri in piazza, e anche poliziotti, vigili, carabinieri. Insieme agli uomini del servizio d’ordine dei sindacati tenevano i margini della folla che però non premeva. Le facce di tutti erano impietrite. Un pompiere col getto d’acqua di una manichetta lavava i lastroni di pietra del palazzo del Monte di Pietà, chiazzati di sangue ed insisteva col potente getto su un grumo ostinato spiaccicato sul muro.
Accesi la telecamera e cominciai le riprese: girai una panoramica sulla piazza e sulla siepe di gente, feci qualche inquadratura sullo spiazzo insanguinato, sul pompiere indaffarato, sugli oggetti sparsi, sugli spigoli del pilastro sbrecciati dall’esplosione. Poi montai faticosamente sul bordo della fontana, l’altra fontana, per avere una visione dall’alto: in equilibrio precario, con tutto quel peso sulle spalle, cominciai a riprendere quello che mi si presentava davanti. Sentivo la necessità di documentare sia la situazione oggettiva che la concretissima tensione emotiva che colmava la piazza; senza mai staccare alternavo i campi lunghi ai primi piani delle persone, panoramiche e dettagli, ...
Dalle fabbriche cittadine - Pietra e Tempini, OM e Sant'Eustachio - stavano affluendo in piazza gli operai che, alla notizia dello scoppio, avevano tutti sospeso il lavoro. Il gelo attraversava l'aria.
Un operaio che indossava ancora la sua tuta blu, con un filo di voce sommesso, improvvisamente, nel silenzio, intonò la canzone partigiana “Fischia il vento, urla la bufera”. Ci fu un attimo di smarrimento. Ci guardammo sbigottiti, imbarazzati. Poi qualcuno, qua e là, si unì al vecchio operaio. Ogni contrada è patria del ribelle …”. C’era chi scandiva le parole con rabbia, chi le mormorava con dolore, chi accompagnava la melodia a bocca chiusa, chi taceva e stringeva i denti.
Davanti a me, nella prima fila, alcuni si cercarono le mani e se le tennero come per fare una catena. “Se ci coglie la crudele morte, dura vendetta verrà dal partigian …”. Nell’aria si alzarono alcuni pugni chiusi. Le voci si rompevano nel pianto o nella rabbia. Un nodo ci strozzava la gola e ci univa nel grigio di quel mezzogiorno.

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