sabato 19 giugno 2010

In the Mood for Love di Wong Kar-wai (2000)


Hong Kong, 1962.
Un uomo e una donna (il signor Chow e la signora Su Lizhen), vicini di casa, scoprono casualmente che i rispettivi coniugi sono amanti. La voglia di sapere e capire li porta ad avvicinarsi e a studiarsi con prudente circospezione forse per quel senso di solidarietà che unisce gli esclusi o forse per indagare le proprie inadeguatezze o per capire i meccanismi della insoddisfazione e della attrazione, del rapporto inappagante e del tradimento. Dopo l’iniziale reciproca curiosità, i due si cercano con una certa assiduità; e la vaga simpatia si trasforma in un’attrazione indecisa, in un affetto reticente, in una incerta dolcezza piena di pudori, frenata dalla timidezza, dalla insicurezza, dalla confusione emotiva.
La voglia di tenerezza è forte e Chow e Su Lizhen non riescono a lasciarsi; ma nemmeno riescono ad abbandonarsi ad una relazione clandestina (come quella che lega i rispettivi coniugi insinceri) e a cedere ad un sentimento che potrebbe sembrare attizzato dalla ripicca.
Si sfiorano ma non si toccano, si intrattengono ma si contengono; non riescono a nascondere il loro insopprimibile desiderio ma lo reprimono; soffocano la loro attrazione e la occultano a tutti; giocano di nascosto a recitare la parte degli amanti ma non sanno portare fino in fondo la loro stentata finzione, troppo sensibili, delicati, emotivi per “consumare” il rapporto e cercare squallide eccitazioni clandestine.

L’idea di tenerezza nasce da una sensazione di insoddisfazione.
Il desiderio inappagato è più intenso di quello esaudito e placato.
La sublimazione ha, appunto, tratti di sublimità.
Il rimpianto è, fra i sentimenti, quello più struggente ed assoluto.
La storia d’amore più appassionata è quella che sarebbe potuta accadere.
Il tempo perduto occupa l’anima più di quello vissuto.
Un non-amore può cambiare la vita.

Il sogno, per definizione, deve rimanere irrealizzato e inconfessato; e per non infrangersi non può che restare segreto, per tutti e per sempre: può essere bisbigliato dentro la fessura di un albero nascosto nella foresta o può essere sussurrato e custodito in una crepa, poi sigillata, di un muro fra le rovine di un tempio abbandonato. Ma questo intimo sogno di un amore, noi lo abbiamo conosciuto: abbiamo colto l’inespresso, abbiamo sentito quello che il triste e gentile signor Chow e la dolce e malinconica signora Su Lizhen non si sono detti, abbiamo visto i segni invisibili che questo non amore ha lasciato sulle loro invisibili anime.
 
Splendidi dunque i silenzi, ovviamente. E dolcissima la colonna sonora (di Michael Nyman) e i brani di musica inseriti (Yò te quiero mucho, Qui sas,…).
Efficacissimi i movimenti claustrofobici della macchina da presa dentro spazi stretti, la monotonia delle inquadrature, il montaggio spezzato e incoerente (come lo sono i ricordi), gli sguardi mesti e i gesti trattenuti, la recitazione sobria e reticente, l’immagine ricorrente di un orologio che segna il tempo che scivola via, sotto la pioggia, insistente ed inutile.




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