giovedì 7 giugno 2012

Piccole bugie tra amici (Les petits mouchoirs), di Guillaume Canet (2010)



Il film si apre con un terribile incidente che coinvolge Ludo e lo riduce in fin di vita: gli amici, un gruppo di parigini fra i trenta ed i quarant’anni, accorrono sgomenti e - nonostante la gravità delle sue condizioni - decidono di non rinviare la loro già programmata vacanza in una casa a Cap Ferret.
Qui, forse anche per il nuovo sfondo costituito dalle pietose condizioni di Ludo (solo apparentemente lontano e assente), esplodono fra loro tutte quelle nevrosi che caratterizzano la scombinata e disorientata generazione post-sessantottina.
Di giorno in giorno emergono inadeguatezze, fisime, immaturità, ipocrisie, debolezze ed ossessioni; di giorno in giorno fra questi amici - che fino a  fino a ieri erano indulgenti fra loro come lo si è con se stessi - affiorano insoddisfazioni, nervosismi, intolleranze reciproche, insofferenze irrisolte; si infittiscono gli scontri, i battibecchi, le accuse, le recriminazioni. E assistiamo ad un fittissimo gioco al massacro, liberatorio e crudele, sempre condotto sul filo tagliente dell’ironia acida, della feroce complicità, del sarcasmo ipercritico, delle nevrosi tormentose, dello svelamento beffardo, spietato e lancinante, surreale ma credibilissimo. 
La lunga consuetudine dei rapporti e l’antico e forse immutato affetto si mischiano all’egotismo narcisista ed al cinismo ed offrono un quadro dolce ed amaro nello stesso tempo. La generale immaturità viene stigmatizzata e nello stesso tempo, appunto perché universale, assolta.
Accattivante la seduttività della rievocazione nostalgica. Magistrale la capacità di intrecciare comicità e tragedia, di alternare cinismo e commozione, di frenare e accelerare. Buono il ritmo, sia quello narrativo che quello dei dialoghi, sempre incalzanti e frizzanti. La scelta degli attori e la caratterizzazione dei personaggi sono indovinate. La colonna sonora è ruffiana quanto basta.
Una riscrittura in salsa maionese, forse un po’ troppo consolatoria e auto assolutoria, dell’inarrivabile “Grande freddo” di Kasdan.

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