lunedì 16 marzo 2009

Lasciar fare

Ambulatorio di oculistica di una Casa di cura. La lunga fila di sedie nel corridoio è interamente occupata da gente in attesa. Alla mia sinistra un vecchio fissa immobile il muro e non si lascia distrarre da chi va e viene: è piccolo di statura, ha una camicia bianca abbottonata sotto la gola, la giacca è troppo lunga, sotto i mocassini lustri porta calze bianche, ha mani grandi.
Alla mia destra siede una ragazza che ha l’aria e l’abbigliamento da adolescente (jeans, maglietta corta, scarpe da basket, capelli accuratamente spettinati, triplo orecchino) ma tiene in braccio un bambino.
Il piccolo, che avrà forse due anni, non è “paziente” come noi e non vuole stare in braccio. La mamma però non lo molla (nel corridoio c’è troppo movimento di gente, di medici e di infermieri indaffarati) e per tenerlo occupato gli fa esplorare la borsa.
Il bambino estrae un mazzo di chiavi: le palpa una per una con le mani incerte, le passa in rassegna due o tre volte sistematicamente (quella grossa, quella lunga, quella nera, quella minuscola, quella gialla), concentra la sua curiosità su un telecomando, ne pigia i tasti, scopre che a premere un tasto verde si accende una lucina rossa, prova, riprova, verifica. Poi trova un tubetto di crema: lo schiaccia, tenta di aprirlo ma non ce la fa, lo gira e rigira, ritenta, scopre che si apre svitando il cappuccio, coglie col ditino la crema che imbratta il becco, la annusa e se la spalma sul naso; la mamma gli spreme un po’ di crema sulla mano e, mentre lui è intento a impiastricciarsi le guance, fa sparire il tubetto. Quando il piccolo finisce con la crema gli ripropone le chiavi. Il bambino le rigira fra le mani e le restituisce. Torna ad esplorare la borsa: cinghia, cerniera, chiusura a calamita, fibbie, targhetta metallica col marchio. Infila la mano e tasta il contenuto ravanando sul fondo, concentratissimo. Estrae un pacchetto di fazzoletti di carta e cerca il modo di aprirlo: gira e rigira il pacchetto, tenta di strappare l’involucro, prova a forzare i margini saldati, cerca di infilare un dito sul dorso, graffia i bordi, non si spazientisce, non si arrende; alla fine trova il lembo adesivo e – dove c’è scritto “tirare” – strappa: estrae tutti i fazzoletti, ne prende uno e lo mette da parte, tenta di reinfilare gli altri nel sacchetto floscio.
La mamma lo osserva in silenzio: non è distratta, non si guarda in giro, non pensa ad altro. Tiene saldamente il suo bambino sulle ginocchia in modo da lasciarlo libero nei movimenti e lo osserva con attenzione: non commenta, non suggerisce, non interviene, non proibisce, non incoraggia, non spiega, non stabilisce regole o tempi, non giudica.
Non fa altro: eppure da tempo non vedevo un “intervento” educativo così sapiente, così efficace.
Ogni tanto accosta il viso alla nuca del suo piccolo e lo annusa delicatamente, ad occhi chiusi, appagata: da tempo non vedevo un gesto di affetto così sobrio, così tenero, così intenso.

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