Il vecchio Ken, pur confessandosi
stanco, colpisce ancora.
Quando si spengono
le immagini, trattengo un applauso solitario (e penso con rammarico al fatto
che non si usi applaudire al cinema, se non ai festival, alla presenza
dell’autore e con l’occhio al cronometro).
Ma la commozione è
concreta e non si lascia inibire dalla mia consapevolezza di essere “obsoleto”
nel permettere al cuore di scaldarsi per antichi valori smarriti, fedi laiche e
lotte per l’idea. E per un momento vedo incrinarsi il refrattario scudo di
cinismo che per autodifesa ho frapposto fra me e l’apprensione per le umane sorti e progressive.
E nemmeno m‘infastidisce
più di tanto la passionale partigianeria del vecchio regista che insiste,
didascalico e fervoroso, nel dividere il mondo in buoni e cattivi con un manicheismo
ed uno schematismo moralista che – nella concretezza delle scelte personali – disconosco
quasi istintivamente, forse per una propensione caratteriale verso l’irenismo
etico e politico.
[Ma ogni tanto –
accidenti – fa bene sospendere il giudizio ipercritico e abbandonarsi un po’ al
bisogno sentirsi dalla parte giusta!].
M'indispone invece più
che mai il pubblico che armeggia coi cappotti o si affretta verso l’uscita
mentre ancora scorrono i titoli di coda: un pubblico diseducato e irrispettoso
verso gli autori e verso gli spettatori attenti.
Resto seduto e aspetto
in silenzio che le emozioni si sedimentino, convinto che i lunghi elenchi di
chi ha contribuito alla realizzazione del film servano anche a questo, inserendosi
come camera di decompressione fra l’esperienza onirica del film e la realtà che
fuori ci attende.
Ken Loach ci
reimmerge nella storia dell’Irlanda degli anni Trenta, e lo fa proponendo la
storia – minima e vera – del comunista Jimmy Gralton (un militante doc, un
resistente generoso e appassionato) che, tornato dall’esilio, nel caos che
segue la dilaniante guerra civile irlandese, persevera nella sua piccola rivoluzione
riaprendo una specie di Centro Sociale in cui – per la semplice gente del suo
paese/microcosmo – è possibile scrollarsi da dosso il rischio dell’inedia
culturale e dell’isolamento esistenziale per stare insieme e svolgere in
autogestione una qualche forma di attività culturale, come imparare il disegno,
leggere poesie, discutere di politica, tirare di boxe, suonare e ballare.
La Pearse-Connolly Hall raduna un folto
gruppo di persone (giovani vogliosi di emancipazione, progressisti allo sbando,
ex-indipendentisti, proletari senza partito, contadini e casalinghe, vecchi e bambini),
tutte attratte dalla voglia “sovversiva” di esserci. Ma la comunità che si
forma diventa inevitabilmente il contraltare all’unica altra istituzione educativa
e aggregante che è la chiesa cattolica: lo spettro del “nuovo che avanza”
solleva l’ostilità del vecchio parroco oscurantista (e inquisitore arrogante),
mette in allarme i latifondisti, fa prudere le mani ai simil-fascisti, attira
l’attenzione della polizia. L’alleanza dei conservatori sa che chi pensa
autonomamente e tenta di aggregarsi diventa l'abbozzo dell’individualità che è
il principio della disgregazione di ogni integralismo.
La
“storia d’amore e libertà” sarà repressa ma non ne sarà soffocato il seme.
Jimmy dovrà tornarsene in America, ma i ragazzi e le ragazze che l’hanno amato
hanno da lui assorbito energie sufficienti e troveranno altre strade per
emanciparsi.
I fluidi
movimenti di macchina, la scelta delle inquadrature, il montaggio, la
successione delle sequenze appaiono impercepibili (cosa che riesce solo in
presenza di una regia magistrale).
Straordinaria
è la fotografia, grazie alla quale il paesaggio è reso con un’efficacia che rivela
l’immenso amore di Loach per la verde Irlanda, quella limpida dei ricordi, che
non patisce alterazioni (ma solo, semmai, trasfigurazioni); e gli interni hanno
il tepore e la soffusa luminosità dei più privati rimpianti.
Le
musiche (spensierato supporto alla onnipresente danza) spaziano dal folklore celtico
irlandese al jazz, metafore dell’amor patrio e della libertà.
I
volti e gli sguardi raccontano l’anima e rivelano l'affetto di Loach per i suoi
personaggi.
Leggero
e struggente nello stesso tempo appare il racconto della passione incompiuta (metafora
politica) fra Jimmy e Oonagh (Barry Ward e Simone Kirby), fatto di gesti
trattenuti e di sguardi muti carichi di tensione erotica.
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