giovedì 9 aprile 2015

Germania in autunno (1978) di registi vari



Un film confuso in tutti i sensi (stili, forme, contenuti, tesi) che non racconta ma rappresenta benissimo (proprio nel suo essere confuso) il periodo più caotico ed incerto della storia tedesca.
Girato solo a un anno di distanza dai fatti che, pur non narrati, fanno da substrato e da sfondo a tutti gli episodi che lo costituiscono, riproduce bene il clima di tensione di quella stagione, ma risulta incomprensibile (e insopportabile) per chi non sa nulla della storia tedesca del dopoguerra, del terrorismo, della RAF, di Baader-Meinhof, del rapimento del presidente degli industriali tedeschi (l’ex SS Hanns-Martin Schleyer), del dirottamento del Boeing 737 della Lufthansa con 91 ostaggi,  del “suicidio” nel carcere di Stammheim di tre importanti esponenti della RAF, del conseguente dibattito sul luogo della sepoltura dei tre terroristi, della successiva uccisione di Schleyer.

Il film si apre con scene del funerale di Schleyer mentre una voce fuori campo legge una lettera dell’industriale sequestrato a suo figlio.
Segue la sezione in cui Fassbinder descrive le sue reazioni nel privato agli avvenimenti esterni (“il privato è pubblico”), fra tensioni col compagno Armin (che si sarebbe suicidato alcuni mesi dopo), telefonate concitate, esplosioni di rabbia, tensioni, sniffate, discussioni con la madre.
Un terzo spezzone riferisce dei dissidi di una professoressa di storia con le autorità scolastiche e rievoca suicidi forzati da ragioni di stato (quello del principe Rodolfo a Mayerling e quello di Rommel) per alludere al suicidio collettivo di quattro terroristi della Raf ( Andreas BaaderGudrun EnsslinJan-Carl Raspe e Irmgard Möller) nel carcere di Stammheim.
Il quarto episodio riporta inserti documentaristici: l’arresto di un turco armato di fucile davanti alla chiesa dove si celebrano i funerali di Schleyer, scene del rito funebre nel museo dell’automobile, i tre minuti di silenzio per lutto nelle fabbriche.
Seguono altri episodi che riportano scene di tensione sociale, ferimenti, manovre militari, controlli alle frontiere, inquadrature del cimitero nel quale viene sepolto Schleyer, l’intervista in carcere a uno dei fondatori della Raf, letture di poesie, riprese di concerti, spezzoni sulla repressione del movimento spartachista nel primo dopoguerra, registrazione di interventi di personalità politiche nei congressi di partito, le discussioni in un comitato di redazione di una rete televisiva in cui si discute dell’opportunità di trasmettere l’Antigone di Sofocle, considerate le forti affinità tematiche con il rifiuto di molte città tedesche di concedere la sepoltura ai terroristi “suicidati”.
Concludono il film l’intervista al sindaco di Stoccarda (figlio di Erwin Rommel) che concede la sepoltura ai terroristi, le dichiarazione del ristoratore che ha accettato di organizzare il banchetto funebre e le riprese dei funerali dei tre suicidi.

L’opera collettiva risente non solo del clima caldo di quei giorni, ma anche degli sconvolgimenti sociali, delle illusioni, della rabbia e delle frustrazioni dei giovani, del disorientamento degli intellettuali, dei contrasti generazionali, della sfiducia nei confronti delle strutture autoritarie della società. Fenomeni questi comuni a tutti i paesi d’Europa, pesantemente aggravati in Germania dal mai risolto problema della responsabilità collettiva del nazismo, dal vulnus alla forte identità nazionale dei tedeschi costituito dalla divisione del territorio nazionale, dalla democrazia imperfetta (a est come a ovest) e soprattutto dalla fallita denazificazione.
Il paese, infatti, vent’anni dopo la fine della guerra, non si era per nulla “purgato” dall’ideologia hitleriana e dalla presenza dominante degli ex nazisti. Dopo un pavido tentativo da parte degli occupanti di americanizzare (o sovietizzare) la Germania ovest paese, con l’inizio della guerra fredda (1948) era addirittura incominciato una campagna di rivalorizzazione degli ex-nazisti in funzione anticomunista; nel 1951 Adenauer, dopo aver nominato un ufficiale nazista come capo del suo staff, aveva promulgato una serie di amnistie a favore di oltre un milione di tedeschi implicati nell’Olocausto; nel ’56, infine, il Partito Comunista era stato messo fuori legge. Alla fine degli anni ’70 troppi ex-nazisti occupavano posti di potere nell’amministrazione, nelle industrie e nelle banche e uno, Kiesinger, era stato perfino Cancelliere fra il ’66 e il ’69.

I giovani tedeschi (antagonisti in quanto giovani) stavano prendendo coscienza di tutta questo complesso di problemi, grazie anche all’influenza dei filosofi della scuola di Francoforte (Marcuse), all’ondata di contestazione che attraversava l’Europa, alle pressioni endogene dei sistemi educativi in crisi, alla voglia di eversione. E mal tolleravano che il governo tedesco si accingesse a compiere una svolta conservatrice mettendo fuori gioco, con l’avvallo dei socialdemocratici, i partiti e i movimenti di sinistra e tentasse di isolare chiunque mostrasse comprensione per il radicalismo studentesco.

Ecco, l’opera composita prodotta da un gruppo di registi “impegnati” (Filmverlag der Autoren, Cooperativa degli autori) raccolto attorno a questo progetto è il distillato di queste atmosfere.
I frammenti del film sono intenzionalmente (e forse inevitabilmente) disorganici, considerata la complessità dei problemi, l’etrogeneità stilistica degli autori, la confusione ideologica, la natura stessa dei segmenti (trama di finzione, inserti documentaristici, filmati storici).









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