Un
film confuso in tutti i sensi (stili, forme, contenuti, tesi) che non racconta
ma rappresenta benissimo (proprio nel suo essere confuso) il periodo più caotico
ed incerto della storia tedesca.
Girato
solo a un anno di distanza dai fatti che, pur non narrati, fanno da substrato e
da sfondo a tutti gli episodi che lo costituiscono, riproduce bene il clima di
tensione di quella stagione, ma risulta incomprensibile (e insopportabile) per
chi non sa nulla della storia tedesca del dopoguerra, del terrorismo, della
RAF, di Baader-Meinhof, del rapimento del presidente degli industriali tedeschi
(l’ex SS Hanns-Martin Schleyer), del dirottamento
del Boeing 737 della Lufthansa
con 91 ostaggi, del “suicidio” nel
carcere di Stammheim di tre importanti esponenti della RAF, del conseguente
dibattito sul luogo della sepoltura dei tre terroristi, della successiva uccisione
di Schleyer.
Il
film si apre con scene del funerale di Schleyer mentre una voce fuori campo
legge una lettera dell’industriale sequestrato a suo figlio.
Segue
la sezione in cui Fassbinder descrive le sue reazioni nel privato agli
avvenimenti esterni (“il privato è pubblico”), fra tensioni col compagno Armin
(che si sarebbe suicidato alcuni mesi dopo), telefonate concitate, esplosioni
di rabbia, tensioni, sniffate, discussioni con la madre.
Un terzo spezzone riferisce dei dissidi di una
professoressa di storia con le autorità scolastiche e rievoca suicidi forzati
da ragioni di stato (quello del principe Rodolfo a Mayerling e quello di
Rommel) per alludere al suicidio collettivo di quattro terroristi della Raf
( Andreas Baader, Gudrun Ensslin, Jan-Carl Raspe e Irmgard Möller) nel carcere di Stammheim.
Il quarto episodio riporta inserti documentaristici:
l’arresto di un turco armato di fucile davanti alla chiesa dove si celebrano i
funerali di Schleyer, scene del rito funebre nel museo dell’automobile, i tre
minuti di silenzio per lutto nelle fabbriche.
Seguono altri episodi che riportano scene di
tensione sociale, ferimenti, manovre militari, controlli alle frontiere,
inquadrature del cimitero nel quale viene sepolto Schleyer, l’intervista in
carcere a uno dei fondatori della Raf, letture di poesie, riprese di concerti,
spezzoni sulla repressione del movimento spartachista nel primo dopoguerra,
registrazione di interventi di personalità politiche nei congressi di partito,
le discussioni in un comitato di redazione di una rete televisiva in cui si
discute dell’opportunità di trasmettere l’Antigone di Sofocle, considerate le
forti affinità tematiche con il rifiuto di molte città tedesche di concedere la
sepoltura ai terroristi “suicidati”.
Concludono il film l’intervista al sindaco di
Stoccarda (figlio di Erwin Rommel) che concede la sepoltura ai terroristi, le
dichiarazione del ristoratore che ha accettato di organizzare il banchetto
funebre e le riprese dei funerali dei tre suicidi.
L’opera
collettiva risente non solo del clima caldo di quei giorni, ma anche degli
sconvolgimenti sociali, delle illusioni, della rabbia e delle frustrazioni dei
giovani, del disorientamento degli intellettuali, dei contrasti generazionali,
della sfiducia nei confronti delle strutture autoritarie della società.
Fenomeni questi comuni a tutti i paesi d’Europa, pesantemente aggravati in
Germania dal mai risolto problema della responsabilità collettiva del nazismo,
dal vulnus alla forte identità nazionale dei tedeschi costituito dalla
divisione del territorio nazionale, dalla democrazia imperfetta (a est come a
ovest) e soprattutto dalla fallita denazificazione.
Il
paese, infatti, vent’anni dopo la fine della guerra, non si era per nulla “purgato”
dall’ideologia hitleriana e dalla presenza dominante degli ex nazisti. Dopo un
pavido tentativo da parte degli occupanti di americanizzare (o sovietizzare) la
Germania ovest paese, con l’inizio della guerra fredda (1948) era addirittura incominciato
una campagna di rivalorizzazione degli ex-nazisti in funzione anticomunista; nel
1951 Adenauer, dopo aver nominato un ufficiale nazista come capo del suo staff,
aveva promulgato una serie di amnistie a favore di oltre un milione di tedeschi
implicati nell’Olocausto; nel ’56, infine, il Partito Comunista era stato messo
fuori legge. Alla fine degli anni ’70 troppi ex-nazisti occupavano posti di
potere nell’amministrazione, nelle industrie e nelle banche e uno, Kiesinger,
era stato perfino Cancelliere fra il ’66 e il ’69.
I
giovani tedeschi (antagonisti in quanto giovani) stavano prendendo coscienza di
tutta questo complesso di problemi, grazie anche all’influenza dei filosofi
della scuola di Francoforte (Marcuse), all’ondata di contestazione che
attraversava l’Europa, alle pressioni endogene dei sistemi educativi in crisi,
alla voglia di eversione. E mal tolleravano che il governo tedesco si
accingesse a compiere una svolta conservatrice mettendo fuori gioco, con
l’avvallo dei socialdemocratici, i partiti e i movimenti di sinistra e tentasse
di isolare chiunque mostrasse comprensione per il radicalismo studentesco.
Ecco,
l’opera composita prodotta da un gruppo di registi “impegnati” (Filmverlag der Autoren, Cooperativa
degli autori) raccolto attorno a questo progetto è il distillato di queste
atmosfere.
I
frammenti del film sono intenzionalmente (e forse inevitabilmente) disorganici,
considerata la complessità dei problemi, l’etrogeneità stilistica degli autori,
la confusione ideologica, la natura stessa dei segmenti (trama di finzione, inserti
documentaristici, filmati storici).
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