Russia centrale, zona del lago Nero, a circa 250 da Mosca,
in direzione nord-est.
A Miron, proprietario di una piccola cartiera, muore la
giovane moglie Tanya. Essendo discendente di un’antica tribù ugro-finnica,
decide di riportare la salma al paese d’origine per cremarla, come vuole la
tradizione, nelle acque del grande lago.
Con l’aiuto di un suo amico-dipendente, Aist, prepara il
cadavere secondo i riti tramandati, lo veste coi costumi avvolge e lo carica
sul furgone della cartiera e parte.
Nel lungo viaggio, secondo le usanze del suo popolo,
racconta ad Aist che lo accompagna quelli che considera gli episodi salienti
della sua vita con la donna.
Il viaggio interminabile verso il rogo rituale diventa un
malinconico percorso a ritroso nei ricordi: il racconto si snoda – senza
reticenze – in una successione di reminiscenze intense sullo sfondo di paesaggi
immensi e desolati. I fatti rievocati sono quelli più significativi della vita
della coppia, e cioè quelli della quotidianità: ora malinconici e teneri, ora strani
e impietosi; ora dolci, ora duri, come la vita che è per tutti un intreccio
indecifrabile di incomprensioni e solidarietà, di tenerezze e di freddezze, di
monotonie e di complicità, di premure e di indifferenze.
La confessione di Miron è sconcertantemente autentica, qualche
volta impietosa, ma non si può – in quelle circostanze – mentire a se stessi e
alla moglie che se ne sta immobile sul pianale del furgone. L’intensa sofferenza
che lo attanaglia esige la più totale sincerità.
Perfino Aist , coinvolto dall’autenticità dei racconti di
Miron, si abbandona ai ricordi e lascia trapelare i pensieri affettuosi
coltivati per Tanya.
Per contenere il dolore ed elaborare il lutto è necessario
“commemorare”, lasciar liberi i ricordi e la commozione che li accompagna,
rievocare i piccoli gesti, richiamare i significati profondi dei sussurri e dei
silenzi. Il più autentico modo di omaggiare una donna amata e perduta è quello
di ricordare con soave dolcezza le sue incoerenze, di lasciar emergere con
infinita compassione le asperità dei contrasti,
di ripensare e comprenderne le contraddizioni.
La morte conclude la vita, non il rapporto che – dopo –
vive più che mai nella verità del vero, e morirebbe invece nella fissità falsa
di una foto, nella costruzione ipocrita di un’icona o nel “liberatorio”
processo di beatificazione.
Dopo il rogo e dopo che le ceneri di Tanya si sono sciolte
nel grande fiume che guarisce ogni dolore, i due piccoli uccelletti in gabbia
che accompagnano il trasporto funebre (per l’esattezza due zigoli, gli ovsyanki del titolo originale) voleranno
liberi fra acqua e cielo, evidente
metafora delle anime silenziose che - compresse dalle reticenze alle quali si è
obbligati in vita – ritrovano la libertà slegando i ricordi senza reticenze e
senza inibizioni, nella spontanea naturalezza che solo il dolore consente.
Nessun commento:
Posta un commento