Zinos gestisce una osteriaccia in una zona marginale di Amburgo, ha un assillante fratello (Ilias) in libertà provvisoria, una fredda ragazza (Nadine) che ha altri progetti non vede l’ora di piantarlo, una bella cameriera saggia (Lucia) che lo tiene a distanza, un conoscente che fa lo speculatore edilizio (Neumann) e gli vuole soffiare il locale, gli ispettori del fisco e della sanità alle costole, un dolore alla schiena che lo tormenta, … Restato - dulcis in fundo - senza cuciniere, è costretto ad assumere uno strampalato cuoco che odia i surgelati e si ostina a cucinare piatti raffinatissimi che lasciano perplessi e fanno fuggire gli scalcinati clienti abituali. Non gli resta che chiudere.
Per barcamenarsi in attesa di dare una svolta alla sua deriva, ospita per le prove una band che ha un buon giro di fans: i nuovi avventori apprezzano i piatti sofisticati del dogmatico chef intransigente, soprattutto quando - per errore - nel piatto del giorno si mischia un efficace afrodisiaco che alza l’umore ai convitati. Il finale, dopo il successo culinario, è intuibile.
Fatih Akin prende a pretesto la cucina e la musica (questa con più convinzione) per sfiorare con mano lieve e senza moralismi irritanti i problemi della trasformazione urbanistica e dell’integrazione, i temi dell’amicizia e dell’amore, la descrizione della realtà quotidiana fatta di pasticci e difficoltà, la narrazione della nostalgia, l’evocazione dei sogni che qualche volta si avverano.
Lo aiuta una sceneggiatura impeccabile, da lui scritta in collaborazione col protagonista (un turco ed un greco!).
Il ritmo è quasi frenetico, da slapstick comedy, ed è assecondato da una musica di qualità (che un po’ disorienta per la sua eterogeneità ma rispecchia bene l’ambientazione e fa impazzire gli appassionati mescolando con maestria funky e soul vocale, Rithm and Blues e canzoni popolari, elettronica e rock , hip-hop e sirtaki, …).
I personaggi, tutti un po’ fricchettoni svitati, sono tratteggiati con maestria, forse con qualche eccesso (ma la scelta registica che propende al gioco grottesco lo consente ed il cinema in generale forse lo richiede, considerato che la rappresentazione filmica è il concentrato della realtà …).
Per barcamenarsi in attesa di dare una svolta alla sua deriva, ospita per le prove una band che ha un buon giro di fans: i nuovi avventori apprezzano i piatti sofisticati del dogmatico chef intransigente, soprattutto quando - per errore - nel piatto del giorno si mischia un efficace afrodisiaco che alza l’umore ai convitati. Il finale, dopo il successo culinario, è intuibile.
Fatih Akin prende a pretesto la cucina e la musica (questa con più convinzione) per sfiorare con mano lieve e senza moralismi irritanti i problemi della trasformazione urbanistica e dell’integrazione, i temi dell’amicizia e dell’amore, la descrizione della realtà quotidiana fatta di pasticci e difficoltà, la narrazione della nostalgia, l’evocazione dei sogni che qualche volta si avverano.
Lo aiuta una sceneggiatura impeccabile, da lui scritta in collaborazione col protagonista (un turco ed un greco!).
Il ritmo è quasi frenetico, da slapstick comedy, ed è assecondato da una musica di qualità (che un po’ disorienta per la sua eterogeneità ma rispecchia bene l’ambientazione e fa impazzire gli appassionati mescolando con maestria funky e soul vocale, Rithm and Blues e canzoni popolari, elettronica e rock , hip-hop e sirtaki, …).
I personaggi, tutti un po’ fricchettoni svitati, sono tratteggiati con maestria, forse con qualche eccesso (ma la scelta registica che propende al gioco grottesco lo consente ed il cinema in generale forse lo richiede, considerato che la rappresentazione filmica è il concentrato della realtà …).
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