lunedì 2 dicembre 2013

Paolo Nori il 10 dicembre 2011 ha scritto (http://www.paolonori.it/dopo-16/):

Dopo, ieri, sono andato a Cesena, a parlare a degli studenti di architettura, e l’ultima domanda che mi hanno fatto è stata, più o meno, Ma tu che parli di una lingua concreta, di una vicinanza al dialetto, cosa ne pensi di Pier Paolo Pasolini.
Guarda, gli ho detto io, il fatto quotidiano han pubblicato oggi una cosa, aspetta eh, ce l’ho nella borsa, lo prendo, e ho aperto la borsa, ho preso il fatto quotidiano, l’ho aperto e ho letto:Uno parla di Matera, qualcuno tira fuori Pasolini, parla di calcio, la grande passione di Pasolini, parla di cinema, c’è sempre uno che cita Pasolini, parla di aborto, da qualche parte salta fuori Pasolini, parla di chiesa, la controversa spiritualità di Pasolini, parla di manifestazioni, neanche da dire, Valle Giulia e Pasolini, parla della fauna emiliana, saltan fuori le lucciole di Pasolini, parla di poesia dialettale, c’è sempre qualcuno che ha letto Pasolni, accende la radio, dopo un minuto Pier Paolo Pasolini, va bene. Non dico niente, va bene.



Gli rispondo.

Sono d'accordo. 
Ma mi viene il sospetto che sotto ci sia un qualche polemico fraintendimento. 
E allora dico la mia.  Senza polemica. Senza intenzione di beatificazione (iterata, inutile).

Si sa, ma lo ricordo come premessa: Pasolini - nonostante l’ostracismo della chiesa e dei comunisti,  il tentativo di esclusione della classe politica e della borghesia e la paternalistica accondiscendenza della cultura alta - aveva raggiunto un enorme successo come poeta (prima dialettale e poi in lingua italiana), come romanziere, come autore teatrale e sceneggiatore, come critico letterario ed infine come regista.

Il suo poliedrico, eclettico (ed anche un po’ frenetico) attivismo culturale [e qui hai ragione con la tua accusa di prezzemolizzazione], accanto alla sua diversità ed al suo effettivo anticonformismo, lo rendevano funzionale ad una società sensibile ai movimenti antiautoritari degli anni Settanta, all’anarchismo eversivo, alla simpatia per le rivoluzioni. E lo rendevano anche "di moda".
I media si erano tuffati su di lui e lo avevano adottato, quasi addomesticato (in quegli anni Mario Apollonio, parlando d'altro, sosteneva che la chiesa era capace di far parlar latino anche i bestemmiatori). 
Pasolini era  - suo malgrado - un buon segnavento: garantiva audience, piaceva ai media perché dava patente di libertario a chi lo invitava, piaceva alla sinistra modaiola perché scavalcava a sinistra la sinistra tradizionalista, piaceva anche ad una certa destra modernista perché smascherava le ipocrisia dei progressisti.
Le sue prese di posizione anticonformiste erano musica per le orecchie degli anticonformisti di professione (che sono più conformisti dei conformisti): Pasolini infatti - pur di andare contro corrente, consapevole della strumentalizzazione di cui era vittima - prendeva posizione contro tutti - guadagnandosi, di volta in volta, le simpatie dei radicali e dei frati di Assisi, dei maoisti e dei poliziotti, dei critici letterari e dei lumpenproletari borgatari, dei funzionari Rai e degli intellettuali espulsi dalla televisione,...
Piaceva a tutti e dava fastidio a tutti. Era, in sintesi, un rompicoglioni reso innocuo dal suo rompicoglionismo fatto professione.
Il fatto che continui ad essere sfruttato in quell ruolo qualche decennio dopo la sua morte ci dice due cose conferma la sua attualità e la sua innocuità.
Pasolini continua ad essere attuale anche perché TUTTI gli argomenti su cui si è espresso allora riguardano problemi (politici, sociali, etici, culturali, letterari, economici, religiosi, educativi, …) non ancora risolti.
E continua ad essere innocuo - malgrado avesse spesso ragione; benché abbia spesso ancora oggi (purtroppo) ragione - per il fenomeno di beatificazione che l’ha investito.
Ora a citarlo sono dei piccoli conformisti.
E a denigrarlo sono dei piccolissimi anticonformisti.
Di “aspiranti pasolini” - o di sue copie sbiadite - siamo purtroppo invasi.




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