Io me lo immagino sempre il Tullio (anzi – per meglio dire –
il Pericoli, perché lui così si firma, solo col cognome), me lo immagino lì
seduto davanti al suo tavolo sempre ingombro di mille matite e matitone,
pastelli e gessetti, raschietti e pennelli e altri strumenti strani di
scrittura o disegno.
Sta lì ogni giorno per delle ore, perché quello è il suo
mestiere. E deve fare i suoi scarabocchi quotidiani, quelli per cui è pagato,
con i quali si paga il caffè della mattina e la tisana della sera, e si compra
le belle tod’s che indossa e i caldi calzoni di fustagno.
Si siede composto e se ne sta tranquillo a pensare, senza
fare nulla per qualche minuto. Poi prende un bel foglio di carta, quella fatta
a mano, da una pila ordinata che sta ai margini del suo tavolo, se lo mette
davanti, lo contempla qualche secondo e incomincia a tracciare le sue righe.
Dentro la testa ha sensazioni, ricordi e fantasie.
Dietro gli occhi vivono per conto loro emozioni, paure e
nostalgie.
La sua mano si sposta qua e là sulla carta tracciando segni
che l’autore non conosce finché non sono visibili. Pare mossa da automatismi
incomprensibili e da meccanismi un po’ inceppati.
Nascono linee indecifrabili, talvolta dritte come le righe
dei quaderni di scuola, talvolta curve come le colline poppute delle Marche,
altre volte rotte come le faglie geologiche o ubriache come il percorso casuale
dei fiumi sulle carte o sottili come le crepe tremolanti dei muri.
Le righe da sole però sono inquietanti nella loro perentoria
assolutezza. E allora Pericoli le impiastriccia con grumi di colore che subito
spalma con dita attente.
Imbratta e stende, sfuma all’infinito, sparge segni,
aggiunge e mischia colori, punteggia, sovrappone, tratteggia, accavalla.
Il lavoro procede così, meticoloso, con poche titubanze.
Viene quel che viene: nuvole sotto gli alberi, segni
tipografici nel cielo, stormi che sgorgano da un masso, intrichi di colline
ondose, fumi subacquei, treni che tagliano percorsi obliqui, nature morte che
intralciano il panorama, viali vaporosamente alberati, prospettive distorte di
metropoli sognate, laghi vulcanici ingombri di cornici affastellate, cavalieri vaganti
dentro valli metafisiche, altopiani che s’interrompono ai margini di una
scrivania, magre figure solitarie che
contemplano territori infiniti, alberi gonfi come nuvole e nuvole sfilacciate
come stracci, cespugli a sbuffo o a spirale, modelle in posa e cinghiali
erranti, finestre aperte su vedute inclinate, microcosmi affollati circoscritti
dai bordi di un vaso, busti che affiorano disseminati in pianori deserti,
colline a balze e gradoni, cieli ventosi e ingarbugliati, fazzoletti di terre
arate cuciti fra loro con casualità arlecchinesca, mari verticali, casette
sghembe, libri volanti.
Il Pericoli non l’ho mai visto al lavoro.
Ma immagino che le cose vadano così.
Con lui che segue gli sviluppi e si meraviglia.
Un bel post in un eccellente italiano e bello denso di senso. Chapeau. Sto girando per gli amici che mi seguono e ho scoperto che qui non ero segnato. Ho rimediato. Auguri dei migliori .
RispondiEliminaPericoli è un genio della grafica e mi piacerebbe avere in casa qualcosa di suo. Vado a vedere on line. Lo trovo solo su La Repubblica e di rado. Omero, ad maiora!
Oggi mi ha scritto Pericoli, dopo aver letto la mia "recensione". Mi scrive:
EliminaCaro Sala,
le cose non vanno esattamente
così, però devo dire che c'è
andato piuttosto vicino.
La ringrazio per questa
lunga attenzione e le mando
i miei saluti più cordiali.
Pericoli
E la cosa mi ha fatto molto piacere.