Dopo
aver maldigerito il film di Martone su Leopardi, mi ero ripromesso di non
vedere un altro biopic.
Ma quando è uscito
nelle sale il film di Abel Ferrara su Pasolini, le riluttanze sono durate l'espace d'un matin. Forte ancora dura l’interesse nei
confronti di Pasolini, un provocatore di mestiere che, a suo tempo, aveva
suscitato una certa inquieta attrazione in quelli della mia insoddisfatta
generazione (e in me aveva fatto nascere un’indefinibile circospetta devozione);
e acuta era la curiosità di vedere come avesse svolto il compito Abel Ferrara, un
regista che pare presenti molte affinità
col poeta friulano, nella biografia complicata e nelle opere eccessive.
Ho dunque visto il
film, e ne sono uscito - come dire - perplesso.
L’opera appare
disomogenea e – nella sua disorganicità – presenta alcuni aspetti suggestivi e
altri indigesti.
La prima cosa che mi
viene da dire è che il regista americano ha tenuto, per fortuna, un profilo
basso, non si è lasciato sfuggire piazzate autoriali e non ha ceduto alla tentazione
di beatificare, riscrivere la storia, rivelare verità, sposare tesi, spiegare
misteri. E non ha nemmeno strafatto (come suo solito) per stupire o suscitare
scandali. Ha semplicemente raccontato l’ultimo giorno di vita di PPP: il
risveglio nella cameretta della casa dell’amatissima madre, il pranzo in
famiglia e la cena in trattoria, la scrittura, la visita dell’amica (Laura
Betti, esagerata di per sé, qui esasperata fino alla caricatura da Maria De
Medeiros); e poi la partita di calcio in uno spiazzo fra i condomini della
periferia degradata, le telefonate, l’intervista per un quotidiano, …
La cronaca di una giornata che avrebbe potuto essere banale è
inframmezzata da alcuni stralci tratti da un film in fase di montaggio (mostrando
il regista mentre visiona spezzoni di Salò
o 120 giornate di Sodoma); da sequenze ricavate da brani di Petrolio, l’ultimo romanzo incompiuto; da
scene desunte da Porno-Teo-Kolossal, il
copione appena terminato di un film (che avrebbe dovuto essere realizzato con
la partecipazione di Eduardo De Filippo e Ninetto Davoli).
Ecco. Appunto questi inserti non mi hanno convinto.
Sono frammentari, slegati, pretestuosi, sicuramente incomprensibili
e inefficaci per chi (Ferrara in primis?) non conosce a fondo Pasolini.
Possono essere letti come una confusa scaletta di lavoro,
appunti, idee, dichiarazione d’intenti, capitoli di progetti monchi, paragrafi
di un testamento.
Ma non raccontano l’essenziale.
Se l’obiettivo degli autori era, presentando questa
macedonia, di rivalutare il multiforme ingegno di PPP, il film è inefficace:
gli spezzoni decontestualizzati sottolineano solo l’anticonformismo e il
fervore dissacratorio, ma dicono poco – e lo dicono confusamente – della
ferocia intellettuale, del lucido disincanto e del disperato nichilismo di Pier
Paolo, che liquida le ideologie del secolo breve con una icastica esclamazione
(“La cometa era ‘na stronzata”) messa
in bocca a Davoli a conclusione di Porno-Teo-Kolossal,
qui riportata solo in chiusura e non sufficientemente sottolineata.
Se invece l’intento di Ferrara era quello - modesto e poco
originale - di presentare la debolezza dell’uomo più che l’anticonformismo
dell’intellettuale, il film si può dire riuscito (anche se Defoe, spigoloso nei
tratti e nel carattere, è algido, distaccato, scostante; e non suscita
empatie).
Il sapore truce degli inserti, in altri termini, restituisce
con una certa efficacia la fragilità emotiva del poeta, la sua randagia esuberanza,
il dissidio fra il giorno e la notte, la desolata solitudine. E la loro sconnessa visionarietà ben
rappresenta il sobbollire dell’inconscio, il caos degli incubi e il fervore
febbrile della creatività.
Niente altro.
Ma da Ferrara ci si poteva aspettare qualcosa di più.
Non doveva sprecare la preziosa opportunità di presentarci
finalmente la figura di un rigorosissimo intellettuale, lucidissimo conoscitore
della decadenza nella quale ci perdiamo, prescindendo dai suoi orientamenti
sessuali attorno ai quali grufolano da decenni tutti quelli che, nel bene o nel
male, parlano di Pasolini.
PS
Il film di Abel Ferrara ha riaperto il dibattito su Pasolini. Un
dibattito confuso, che resterà vivo per poco, e sarà riassorbito presto,
inghiottito per l'arrivo di altre colate, spazzato via da altri refoli.
Nella recensione non ho avuto modo di esprimere la mia opinione, affettuosa, sul suo ruolo di intellettuale, sul suo anticonformismo, sulla sua attualità, ...
Ecco.
Quel che penso l'ho scritto qualche anno fa in una lettera ad un amico che mi sollecitava.
Mi cito addosso ....
Pasolini - nonostante l’ostracismo della chiesa e dei comunisti, il tentativo di esclusione della classe politica e della borghesia e la paternalistica accondiscendenza della cultura alta - aveva raggiunto un enorme successo come poeta (prima dialettale e poi in lingua italiana), come romanziere, come autore teatrale e sceneggiatore, come critico letterario ed infine come regista. Ma il suo poliedrico, eclettico (ed anche un po’ frenetico) attivismo culturale, accanto alla sua diversità ed al suo indubitabile anticonformismo, lo rendevano funzionale ad una società sensibile ai movimenti antiautoritari degli anni Settanta, all’anarchismo eversivo, alla simpatia per le rivoluzioni. E lo rendevano anche "di moda".
Oggi sarebbe fuori luogo. E - cambiato il contesto - sarebbe diverso anche lui.
I media si erano tuffati su di lui e lo avevano adottato, quasi addomesticato (in quegli anni Mario Apollonio, parlando d'altro, sosteneva che la chiesa era capace di far parlar latino anche i bestemmiatori). Pasolini era - suo malgrado - un buon segnavento, garantiva audience, dava una patente di libertario a chi lo invitava, scavalcava a sinistra la sinistra, smascherava le ipocrisia dei progressisti.
MA le sue prese di posizione anticonformiste erano musica per le orecchie degli anticonformisti di professione (che sono più conformisti dei conformisti).
Pasolini inoltre - pur di andare contro corrente, consapevole della strumentalizzazione di cui era vittima - prendeva posizione contro tutti guadagnandosi, di volta in volta, le simpatie dei radicali e dei frati di Assisi, dei maoisti e dei poliziotti, dei critici letterari e dei lumpenproletari borgatari, dei funzionari Rai e degli intellettuali espulsi dalla televisione,... Piaceva a tutti e dava fastidio a tutti. Era diventato forse, in sintesi, un rompicoglioni sostanzialmente innocuo. Io non credo che la sua morte sia la conseguenza di un complotto politico-economico-mafioso. Non so...
Nella recensione non ho avuto modo di esprimere la mia opinione, affettuosa, sul suo ruolo di intellettuale, sul suo anticonformismo, sulla sua attualità, ...
Ecco.
Quel che penso l'ho scritto qualche anno fa in una lettera ad un amico che mi sollecitava.
Mi cito addosso ....
Pasolini - nonostante l’ostracismo della chiesa e dei comunisti, il tentativo di esclusione della classe politica e della borghesia e la paternalistica accondiscendenza della cultura alta - aveva raggiunto un enorme successo come poeta (prima dialettale e poi in lingua italiana), come romanziere, come autore teatrale e sceneggiatore, come critico letterario ed infine come regista. Ma il suo poliedrico, eclettico (ed anche un po’ frenetico) attivismo culturale, accanto alla sua diversità ed al suo indubitabile anticonformismo, lo rendevano funzionale ad una società sensibile ai movimenti antiautoritari degli anni Settanta, all’anarchismo eversivo, alla simpatia per le rivoluzioni. E lo rendevano anche "di moda".
Oggi sarebbe fuori luogo. E - cambiato il contesto - sarebbe diverso anche lui.
I media si erano tuffati su di lui e lo avevano adottato, quasi addomesticato (in quegli anni Mario Apollonio, parlando d'altro, sosteneva che la chiesa era capace di far parlar latino anche i bestemmiatori). Pasolini era - suo malgrado - un buon segnavento, garantiva audience, dava una patente di libertario a chi lo invitava, scavalcava a sinistra la sinistra, smascherava le ipocrisia dei progressisti.
MA le sue prese di posizione anticonformiste erano musica per le orecchie degli anticonformisti di professione (che sono più conformisti dei conformisti).
Pasolini inoltre - pur di andare contro corrente, consapevole della strumentalizzazione di cui era vittima - prendeva posizione contro tutti guadagnandosi, di volta in volta, le simpatie dei radicali e dei frati di Assisi, dei maoisti e dei poliziotti, dei critici letterari e dei lumpenproletari borgatari, dei funzionari Rai e degli intellettuali espulsi dalla televisione,... Piaceva a tutti e dava fastidio a tutti. Era diventato forse, in sintesi, un rompicoglioni sostanzialmente innocuo. Io non credo che la sua morte sia la conseguenza di un complotto politico-economico-mafioso. Non so...
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