Ali, un ragazzino di una decina di anni che vive in un povero
quartiere della metropoli iraniana, passa dal calzolaio a ritirare le scarpette
della sorellina Zohre – le uniche che la piccola possiede – e tornando a casa
le dimentica sui banchi del fruttivendolo. Quando se ne accorge è troppo tardi:
un robivecchi è passato e le ha caricate sul carretto insieme a mille altre
cianfrusaglie.
Inizia un complicatissimo balletto fra i due fratellini che
vogliono nascondere la cosa in famiglia per non dare dispiaceri e
preoccupazioni alla madre (che è di salute malferma e deve badare a una neonata)
e, soprattutto, per non incorrere nelle furie dell'irascibile padre che - non
guadagnando abbastanza per mantenere la famiglia, pagare l’affitto e garantire
le cure alla moglie - non è certo in grado di comperare un paio di scarpe nuove
a Zohre.
Facilitati dal fatto che le scarpe, in Iran, restano fuori dalla
soglia di casa, i due piccoli riescono a farla franca; avendo poi orari di
scuola diversi (i maschi e le femmine, per motivi logistici oltre che religiosi,
si avvicendano nel piccolo edificio scolastico) trovano il sistema, per
frequentare le lezioni, di condividere le scalcinate simil-Superga di Ali
scambiandosele – scarpe vs ciabatte – in un vicolo defilato a metà del percorso
casa-scuola.
Le
condizioni di vita dei poveri quartieri della città, in stridente contrasto con
l’ostentata opulenza dei ricchi residenti nei quartieri alti (larvatamente
denunciata dal regista, che non è fra quelli messi “all’indice” dal regime
integralista di Teheran), ricordano molto quelle della nostra piccola Italia
degli anni Cinquanta. Non a caso questo film del 1997 richiama alla mente le
atmosfere del cinema neorealista di Zavattini e De Sica (in particolare Ladri di biciclette).
Analogie
affiorano nell’ambientazione proletaria e nella predilezione minimalista per la
quotidianità, nella presa diretta della realtà e nella visione pessimistica, nel
ruolo protagonista dei bambini (dalla cui altezza si osserva l’assurda società
adulta) e nell’uso di attori presi dalla strada, nell’inserimento di intensi
primi piani per esprimere stati d’animo e perfino nell’uso “partecipante” della
camera.
Il
film è lieve, garbato, delizioso, confortante.
Da
vedere, come pausa fra la visione di film che rappresentano le quotidianità
complicate e le prospettive catastrofiche della nostra civiltà.
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