mercoledì 16 gennaio 2013

Moonrise Kingdom - Una fuga d'amore (2012) di Wes Anderson


La storia è di una semplicità elementare.
Siamo negli anni Sessanta, su un'isoletta del New England. Due dodicenni, Sam e Suzy (Jared Gilman e Kara Hayward) s’innamorano e organizzano una piccola fuga per trovare il tempo di stare insieme, lontani dalle costrizioni e dalla anaffettività degli adulti: lei scappa da una stramba famiglia scombinata; lui da un campo scout nel quale l’hanno parcheggiato dei genitori affidatari che vogliono abbandonarlo; insieme – con quella che gli aridi adulti chiamano una “scappatella” – cercano di dare aria ad una nascente storia d’amore.  
Mentre si prepara lo scatenarsi di una grande burrasca, tutti gli abitatori stanziali o occasionali dell’isola, compreso un cane, partono alla ricerca dei fuggitivi: i genitori di lei (impersonati da Bill Murray e Frances Mc Dormand), lo sceriffo amante della donna (Bruce Willis), i responsabili del campo scout (Edward Norton ed Harvey Keitel) alla guida della squadra dei piccoli esploratori e l’assistente sociale (Tilda Swinton).  
[Quella del cast è una singolare sorpresa che Anderson ci regala, affidando a due ragazzini esordienti i ruoli dei protagonisti e assegnando le parti secondarie ad un gruppo di mostri sacri del cinema hollywoodiano espiantati dai loro abituali cliché].

L’azione si svolge in un paesaggio ai limiti dell’irreale: casette linde, prati con alberi e cieli come quelli dipinti dai bambini, acque e baie incantevoli e boschi incantati; i gesti ed i movimenti hanno marcature teatrali; gli abiti e le acconciature sono il trionfo del vintage, così come gli accessori, gli oggetti, i libri sbiaditi, il mangiadischi esausto e frusciante con musiche retrò,.
Le inquadrature hanno la composizione dei dipinti naïf o dei fondali di teatro, i segni grafici sono elementari, i colori virano al pastello (quasi da cartoon).
L’artificiosità fittizia da recita scolastica crea attorno alla storia un’atmosfera fiabesca, irreale, proprio come fiabesca e irreale è – in questo nostro mondo – la tenerezza ingenua del primo innamoramento.
Per questo il film cattura l’attenzione, coinvolge e commuove.
È impossibile per un uomo non rispecchiarsi nella impalpabile tristezza dei genitori di Suzy che vivono nella malinconica rassegnazione dopo essere stati costretti dalla vita a ridimensionare gli entusiasmi adolescenziali; e soprattutto è facile rispecchiare la propria adolescenza in quella dell’occhialuto Sam che, infelice per carenza d’affetto, emarginato e strapazzato dai compagni, dimostra di avere la stoffa del leader e conquista il cuore della amabile Suzy.
Ed è naturale per qualsiasi donna identificarsi nel dolce romanticismo di Suzy che non si separa mai, nella rocambolesca fuga, dalla sua musica e dai suoi libri (che sono il sottofondo del sogno d’amore e l’alimento del desiderio di evasione).

Nella prima parte del film, gli adulti che hanno dimenticato la tenerezza (per stupidità o per noia, per opportunismo o per stanchezza), si muovono per soffocare un amore che nasce e ricondurre i sognatori alla desolante realtà, sgradevoli e dissonanti come strumentisti che provano la parte (vedi colonna sonore e, soprattutto, l’appendice didascalica dopo i titoli di coda). 
Nella seconda parte scatta in tutti la molla che risveglia il mai sopito bisogno di calore e di affetto. E tutti – ognuno nella sua parte – si lasciano lentamente contagiare: si muovono per proteggere un sogno che nasce, per rivisitare i desideri inappagati, per riassaporare un piacere che si sono negati.
I sentimenti tornano a riaffiorare: l’infelice Murray (che contiene le frustrazioni abbattendo alberi) e McDormand (che chiama i figli col megafono) scoprono l’assurdo delle loro incomunicabilità; l’istruttore Ed Norton, goffo e frustrato, trova insulse le regole marziali che adotta e impone; per Bruce Willis diventa inconcepibile la rassegnazione sconsolata che nasconde sotto la divisa di sceriffo; e si mostra in tutta la sua incongruenza l’ottusa rigidità di Tilda Swinton, che impersona un’arida “Servizi Sociali”, ultima ad arrendersi alla concretezza della fantasia.

Ognuno di noi vorrebbe, come Suzy, avere un binocolo col quale osservare la realtà a distanza, per non farsi contaminare.


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