Montreal,
Canada. Bachir Lazhar - un non più giovane immigrato algerino che ha la faccia
da algerino e l’aria sperduta dell’immigrato - legge sul giornale di una
maestra che si è impiccata in aula durante la ricreazione e si presenta alla direttrice
della scuola per proporsi come supplente. Non ha mai insegnato e non ha titoli
per farlo, ma riesce ad ottenere l’incarico esibendo un falso curricolo.
In
classe, dopo le incertezze del primo impatto, riesce a trovare una certa
disinvoltura, aiutato proprio dalla inesperienza che lo rende simpaticamente anticonformista,
originale, alternativo; e grazie alla sua diversità, conquista gradatamente la
benevolenza dei suoi alunni e instaura con loro un rapporto genuino, non viziato
dalla rigidità dei formalismi, dalla ipocrisia delle convenzioni sociali, dalla
aridità delle regole istituzionali e dalla insulsaggine delle consuetudini.
Con
la sensibilità che possiede, acuita anche da tragiche esperienze familiari (la moglie,
scrittrice progressista, è morta insieme
ai figli nel rogo della casa appiccato da fanatici integralisti), è in grado di
affrontare con la necessaria e delicata attenzione anche il trauma vissuto dai
bambini per il suicidio della loro insegnante. E lo fa malgrado i divieti delle
autorità scolastiche (che scaricano sugli psicologi il compito di affrontare l’argomento)
e l’indifferenza dei colleghi; nonostante l’opposizione dei genitori (che non
accettano di essere sostituiti o scavalcati da un immigrato nei loro mal
esercitati ruoli educativi); a dispetto delle naturali resistenze messe in atto
da alcuni alunni (che non hanno gli strumenti necessari per affrontare il
trauma, vincere le paure, liberarsi dei sensi di colpa, superare le crisi di
panico, sottrarsi al senso di abbandono).
Lazhar
si finge insegnante e lo diventa nel senso più completo del termine; vive nella
menzogna e riesce a smantellare un castello consolidato di ipocrisie.
In
uno straordinario intercambio di ruoli con i suoi alunni (paradigmatico è il
suo impegno a svolgere i compiti che assegna e ad accettare il giudizio della classe),
insegna e nello stesso tempo impara - semplicemente - che per avere risposte è
necessario porsi domande; che i sentimenti devono essere vissuti e non affrontati
come fossero patologie; che i fatti accadono anche se si tengono chiusi gli
occhi; che il dolore è un esperienza di vita, non è un incidente di percorso; che
la morte non si cancella dipingendo le pareti e organizzando festicciole.
Il
paziente e disincantato maestro che ha subìto una perdita crudele, aiuta i suoi
alunni ad elaborare un lutto atroce. Ed avendo
patito l’angoscia della solitudine aiuta i suoi bambini a superare lo strazio
delle separazioni: quella da Martine Lachance, la maestra suicida, e quella che li
a poco li allontanerà da lui, quando alla fine sarà smascherato come falso (?) maestro
e licenziato.
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