Il duende è quel fluido ineffabile che emana (dal corpo, dall'anima?) del poeta o di chiunque (musicista, ballerino, torero,...) senta il bisogno insopprimibile di spingersi oltre i confini di sé per esprimere la sua traboccante interiorità.
Il duende invade e pervade, attraversa e sconvolge, intride e trasfigura.
Essendo sensazione indefinibile, non può essere teorizzato, insegnato o appreso. E non è possibile possederlo: casomai se ne è posseduti, e mai in modo permanente; perché lo spirito "soffia dove vuole" (Giov. 3. 8) e quando vuole.
Il duende scaturisce dalle profondità telluriche, ti sale attraverso i piedi, ti inebria ("Nunc est bibendum, nunc pede libero pulsanda tellus" Orazio, Odi, I, 37, 1), ti attraversa il corpo e dal corpo promana stabilendo un ponte elettrico con chi ti circonda.
Se reciti e interpreti una poesia con la più raffinata abilità attoriale, potrai colpire e smuovere le emozioni di molti fra quelli che ti ascoltano; ma se leggendo la stessa poesia ti lascerai pervadere dal duende, l'emozione emanerà da te, non solo dal testo, e impregnerà totalmente lo spazio, farà vibrare l'aria, assorbirà l'attenzione di tutti. Riuscirai ad inondare i loro nervi di commozione, li sommergerai nella tua sensibilità, fagociterai la loro percezione determinando una rivelazione e una eversione, una sorta di estasi collettiva e di ebbrezza dionisiaca, un’esperienza mistica e un sovvertimento, uno stato di sospensione e annullamento, di illuminazione e di ascesi, di catarsi e di beatitudine, di assenza e di assoluto.
Solo chi ha il caos dentro di sé può generare una stella che danzi. (Nietzsche)
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